Distruggere Alphaville
Vizietto acritico italiano
di Iannozzi Giuseppe
Tutto nasce. Anzi, tutto non nasce, così è più corretto. Il punto: la narrativa di genere ha fallito. Se aveva delle possibilità, se l’è sputtanate in breve tempo ripetendo cliché – già di per sé abusati nei tempi d’oro andati e perduti per sempre – in migliaia di libri-fotocopia. Sono sopravvissuti due, forse tre autori: Andrea Camilleri – uno dei pochissimi a godere dell’onore (e l’onere) d’esser accolto nella collana Meridiani Mondadori pur non essendo ancora passato a miglior vita -, Niccolò Ammaniti con il suo “Io non ho paura” che deve molto del suo successo al regista Gabriele Salvatores, e Giorgio Faletti che solo in Italia, con due romanzi appena, ha letteralmente costretto in ginocchio i tanti illusi giallisti italiani (in verità, i più risultano essere urlatori di sé stessi, perché s’illudono d’esser novellini pasolini) che urlano a squarciagola d’esser dei professionisti. Professionisti, di che…? Il resto della narrativa di genere semplicemente non esiste, se non per qualche fanatico nazionalista che non riesce proprio a fare a meno della monnezza, forse nel vano tentativo di ricordare quei tempi andati (perduti per sempre) di quand’era giovane e si viveva l’età dell’oro della fantascienza e dell’horror.
Giustamente indignato, Andrea Cortellessa, sulle colonne de “La Stampa”, in data 24 giugno 2006, parlando di “Distruggere Alphaville” di Valerio Evangelisti, scrive: “Sicché il «successo» non è che una conseguenza del giusto mettersi in «sintonia della creazione con le domande della società». La letteratura «di genere», e il cinema pari suo, sono – insomma – lo Spirito del Tempo. Horror, Fantascienza, Giallo, Western (perché il Rosa no, perché non il Porno?) ma soprattutto il Noir, che tutti gli altri ha sbaragliato, sono gli eredi legittimi di «Dickens, Balzac, Dostoevskij, Flaubert, Tolstoj, Zola eccetera»; il resto è noia (direbbe un suo degno maître à penser). O meglio, qualcosa c’è: un peana va ad Antonio Moresco, il quale «cerca di iniettare nella narrativa “alta” l’afflato universale, addirittura cosmico, della migliore narrativa di genere». In cosa consista, detto afflato, non si sa; fondamentale è però l’attitudine dello scrittore a «farsi Dio» della propria materia. In ciò, bontà di Evangelisti, supremo resta Dante. Ma dopo di lui ecco baldanzosi Lovecraft, Salgari, Moresco e (ultimo affiliato alla schiera delle divinità) Giuseppe Genna.”
A difendere l’inquisitore Evangelisti, subito si mobilita Antonio Moresco, sulle colonne de Il primo Amore in data 30 giugno 2006: “Cortellessa, si sa, ha il brutto vizio di fare di tutte l’erbe (è il caso di dirlo) un fascio, e non pare in grado – nonostante la sua intelligenza e preparazione – di cogliere la forza di invasione e prefigurazione dell’immaginazione letteraria e del pensiero, se non è impacchettata dentro i codici culturali a lui congeniali, con la loro idea puramente manieristica e autoreferenziale della letteratura. E anche nel caso di Evangelisti vede solo ciò che può e vuole vedere.”
Valerio Evangelisti ha un suo sito personale, dove ogni pezzullo che appare su di lui e su i libri da lui scritti viene prontamente messo in rassegna stampa: ed infatti, anche il pezzullo non poco autoreferenziale di Moresco (che un po’ si piange addosso perché si ritiene pure lui vittima delle stoccate del critico Cortellessa) viene fatto prigioniero della rassegna stampa dell’Inquisitore. Così non accade per l’articolo di Andrea Cortellessa: Evangelisti, o chi per lui, scrive soltanto un appunto tra parentesi quadre: “[Per dovere di completezza, segnaliamo che un commento del tutto diverso, a firma Andrea Cortellessa, è apparso su La Stampa-Tuttolibri del 24 giugno 2006. L’autore, nell’assemblare citazioni in modo da far dire a Evangelisti il contrario di ciò che ha scritto, lo insulta personalmente chiamandolo “capofila dell'immondizia”. Il dottor Cortellessa non pare avere molta dimestichezza con le maniere fini. Meno ancora con il senso dell’ironia.]”
Ora: i libri, e anche i librettini di genere, made in Italy vendono un po’ di copie nei paesi dell’Ex Jugoslavia, qualche copia pure in Francia, forse una o due tre copie riescono ad arrivare persino fino a Berlino. E una copia, con tanto di piccione viaggiatore incluso nel pacchetto viaggio, vola negli Stati Uniti d’America dove, alla fine, per noia o per masochismo, si finisce col parlarne così come si parlerebbe d’una malattia esotica o incurabile, come la sospetta lebbra di Viktor Yushenko. Nessuno dubita che un paio di copie – toh, voglio essere generoso alla faccia della resistenza alare del piccione viaggiatore – riescano a varcare il mare; e nemmeno voglio negare che qualcuno si prende la briga di leggere ciò che gli arriva (o in alternativa le cartellette stampa già bell’e preparate) per poi farne topi da laboratorio e documenti di studio; però anche da noi arrivano parecchie cagate made in Usa, così tante che è impossibile stargli dietro. E c’è sempre un fanatico, o un perditempo, che ci scrive su qualcosa, persino una tesi di laurea o due. Questo per dire: tutto il mondo è paese alla fin fine, e se riceviamo un tot di porcheria dagli Usa, vuoi che non gliene mandiamo pure un po’ della nostra, almeno quel poco che basta per un assaggino? Non farlo sarebbe atto di scortesia. Se non pubblicassimo tutta la porcheria americana inglese francese tedesca sovietica, si potrebbero gettar le basi per una bella guerra fredda a livello para-letterario e para-critico. Il che, a pensarci bene, non sarebbe poi un male una bella guerra fredda.
Senza peli sulla lingua, “Distruggere Alphaville” è un saggio molto pretestuoso e presuntuoso, essenzialmente frutto d’una visione solipsista della narrativa di genere elevata, da Valerio Evangelisti, troppo facilmente a letteratura per le generazioni future. Forzata oltremodo la difesa a uno dei peggiori scrittori mai apparsi in libreria, Cesare Battisti. In definitiva, questa raccolta di saggi è visione acritica e distorta intorno ad autori e libri: sorge il serio dubbio che, con gli anni, Valerio Evangelisti non sappia più distinguere il “buono” dal “cattivo”.
Allora, il consiglio che posso darvi è uno e uno solo: “State buoni, se potete!”
Ma buoni voi non ci starete, poco ma sicuro: ed allora caricate pure le pistole e date spettacolo, un altro spaghetti gothic. Ma per l’amor del cielo, che non sia bassamente abbozzato come “Il collare di fuoco”.