Non passa giorno senza notizie sulla crescente disuguaglianza come eloquente indicatore del tipo di modello economico che ci siamo scelti, in seguito all’abbuffata neoliberale provocata dal Washington Consensus. L’idea che la crescita economica sia “una marea che sollevi tutte le barche”, come disse Margaret Thatcher quando dichiarò guerra alla società del welfare, e la sua gemella “il capitale ricadrà su tutti quanti”, sono ora totalmente screditate. I fatti, come si dice, sono ostinati.
Ed i fatti sono stati dimostrati in un’esauriente analisi statistica dall’economista francese, Tomas Piketty, (autore de Il Capitale nel XXI Secolo) che, sulla base dei dati degli ultimi due secoli, prova che il capitale frutta una migliore rendita rispetto al lavoro. Dunque, in qualunque paese, la crescita economica è distribuita in maniera diseguale fra l’insieme dei salari e quanto va ai ricchi. Con il tempo, il capitale del ricco crescerà più di qualunque altra cosa, ed infine i più ricchi vedranno il loro capitale crescere continuamente, molto più del benessere generale; coloro che erediteranno capitale beneficeranno infine della maggior fetta della crescita: in altre parole, succhieranno via dalla popolazione il suo aumento di benessere. Ciò significa che stiamo tornando ai tempi della Regina Vittoria.
Di fatto questo è dovuto ad una nuova realtà: il capitalismo finanziario sta rendendo molto meglio del capitalismo produttivo. L’ultimo numero della rivista americana “Alpha” stila l’elenco dei 25 manager meglio pagati nel campo degli Hedge Funds. L’anno scorso, questi manager – tutti uomini – hanno guadagnato la sconcertante cifra di oltre 21 miliardi di dollari. Una cifra che supera i redditi nazionali combinati nello stesso anno di paesi africani come Burundi, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Gambia, Guinea, Sao Tomé, Seychelles, Sierra Leone, Niger e Zimbabwe. O, per rimanere negli Stati Uniti, il premio Nobel Paul Krugman scrive che lo 0,1% con il reddito più alto è tornato indietro al XIX secolo. Secondo la classifica dei miliardari di Bloomberg, un indice giornaliero dei 300 individui più facoltosi del mondo, questi hanno visto crescere l’anno scorso il loro benessere di 524 miliardi di dollari – più della somma dei redditi di Danimarca, Finlandia, Grecia e Portogallo. Provate solo ad andare su Wikipedia, cliccare Bilanci Nazionali nel mondo e vedete quanti paesi poveri riuscite a sommare, con i loro milioni di abitanti, per raggiungere 524 miliardi di dollari.
Lo stesso accade in Europa. Abbiamo statistiche simili dalla Spagna. L’anno scorso 23 banchieri si sono visti assegnare diritti previdenziali per 22,7 milioni di euro ed un aumento degli stipendi del 27%, nonostante uno scenario di deflazione. Si tratta di un trend che sta avendo luogo in ogni parte d’Europa, anche nei paesi del nord, ma anche in Brasile, Cina, Sudafrica ed in ogni altra parte del mondo.
Naturalmente, questo è oggi considerato un trend normale nella “new economy”, in cui il lavoro è considerato una variabile della produzione e la disoccupazione permanente è considerata inevitabile e strutturale. Nel frattempo, le Nazioni Unite sostengono che la povertà estrema nel mondo sia stata dimezzata. Il numero di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno è crollato dal 47 percento del 1990, al 22 percento del 2010. Ci sono ancora 1,2 miliardi di persone che vivono in povertà estrema, ma una nuova classe media sta emergendo in tutto il mondo, anche se il trend positivo dei numeri è dovuto per lo più a Brasile, Cina e India. Per tanto, l’argomento dei difensori dell’attuale modello economico è “se ci sono pochi super ricchi, perché ignoriamo l’enorme progresso che ha creato 1 miliardo di cittadini della nuova classe media?”.
Questo argomento ha tre ovvi problemi. Il primo è che questo tipo di crescita economica sta già erodendo la classe media nei paesi ricchi e questa contrazione è destinata ad avere seri effetti nel lungo periodo. I consumi dei super ricchi non possono sostituire i consumi di un grande numero di cittadini della classe media. La produzione di auto è già superiore alla domanda, e questo sta avvenendo per molti prodotti. La povertà globale sta calando, ma in ogni paese, la disuguaglianza sta aumentando.
Il secondo problema è che i ricchi non stanno pagando le tasse quanto prima, a causa di un gran numero di benefit fiscali che furono introdotti all’epoca del Presidente Usa Ronald Reagan – “il benessere produce benessere e la povertà produce povertà”. Il presidente francese Francois Hollande ha scoperto a sue spese che oggi non si può tassare il capitale perché è sacro. Ci sono almeno 300 miliardi di dollari in entrate fiscali che vengono persi attraverso una combinazione di incentivi sulle imposte sui redditi d’impresa e di stratagemmi per eludere le normative fiscali. Oggi, sono stimati 4 trilioni di dollari in paradisi fiscali. E la storia non è ricca di esempi di redistribuzione volontaria e solidarietà da parte di ricchi e super ricchi.
Il terzo problema è molto serio. E’ ridondante citare qui uno degli innumerevoli esempi di come la politica sia diventata asservita all’interesse economico. Un comune cittadino non ha lo stesso potere di un cittadino super ricco. E’ ironico come la corte suprema degli Stati Uniti abbia eliminato ogni limite di donazione ai partiti, perché tutti gli uomini sono uguali. Ora che il costo dell’elezione di un presidente si aggira attorno ai 2 miliardi di dollari, un cittadino medio è veramente uguale ad uno ricco come Sheldon Adelson, il magnate statunitense che ha ufficialmente donato 100 milioni di dollari al Partito Repubblicano? Senza grandi sforzi, la sua ricchezza è aumentata l’anno scorso di 14 miliardi di dollari!
E’ dunque positivo questo trend per la democrazia? Non sono i super ricchi ragione di preoccupazione? Ebbene, questo è quello che ci viene detto, e questo è quanto ci viene chiesto di credere...
di Roberto Savio - link alla fonte
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