Divergent è il primo libro della trilogia distopica creata dalla giovane Veronica Roth, serie che ha riscosso un grande successo e ha scalato le classifiche della narrativa mondiale. Andiamo assieme a scoprire il libro.
L’incipit è di grande impatto e ci porta subito in media res, ci catapulta nel mondo creato dalla Roth, che già dopo poche frasi intuiamo come profondamente diverso dal nostro: c’è solo uno specchio a casa mia, dietro un pannello scorrevole nel corridoio al piano di sopra. Secondo le regole della nostra fazione, mi è permesso starci davanti una volta ogni tre mesi, il secondo giorno del mese, quello in cui mia madre mi taglia i capelli.
Si parla subito di fazioni, i cinque gruppi in cui risulta essere divisa la società di Divergent. Il romanzo è infatti collocato in un futuro imprecisato, dopo la fine di una guerra catastrofica che ha stravolto la società. Per preservare la pace gli umani si sono suddivisi in cinque fazioni diverse, classificante in base al carattere e alle predisposizioni naturali cui tendono i loro membri. Ci sono gli Abneganti, gli Intrepidi, i Pacifici, i Candidi e gli Eruditi. All’età di sedici anni ogni persona è sottoposta a un test attitudinale, il cui risultato rivela la fazione per cui si è naturalmente predisposti. Il giudizio finale sulla scelta, però, resta comunque in mano alla persona.
Protagonista di questa storia è Beatrice Prior, nata da famiglia Abnegante e prossima ad affrontare il test. Ma quando si sottopone alla prova, scopre di essere diversa dalla maggior parte delle altre persone: lei è una divergente, ossia qualcuno che non può essere catalogato in alcuna fazione, e che per qualche motivo sembra essere temuto per la società… quando si è divergenti, una sola cosa sembra essere certa: non si deve raccontare a nessuno della propria condizione, perché chi è divergente rischia la pena di morte.
Il romanzo presenta uno stile semplice e asciutto, che si fa leggere da tutti, le frasi hanno un buon ritmo che aiuta la lettura del volume, soprattutto in quelle parti in cui la storia sembra ristagnare e denota un’eccessiva staticità. Ci sono poi i personaggi, alcuni dei quali caratterizzati molto bene, come la protagonista o il misterioso Quattro, mentre altri (soprattutto quelli secondari) soffrono delle limitazioni caratteriali che vengono imposte dalle varie fazioni di appartenenza, con risultato che in alcune circostanze risultano stereotipati, poco incisivi e dai modi di fare scontati.
Alcuni dialoghi, soprattutto quelli, per così dire, “di contorno”, lasciano dietro di sé un senso di banalità, tanto da risultare eccessivamente costruiti e forzati, soprattutto ai lettori più esigenti, ma a parte questi piccoli punti deboli il romanzo appare solido e ben strutturato e il finale, che ci accompagna verso i successivi due volumi, ci lascia con una situazione diametralmente opposta a quella dell’inizio.
E voi, che ne pensate?