E' giunto il momento anche della prima puntata della rubrica sulle diversità, o presunte tali, di Federica.Con un cult assoluto che tutti voi, tranne me, avrete visto.Il punto è che ce l’abbiamo davanti, la diversità, anche quando non lo è, soprattutto quando non lo è. I film sono stati i primi luoghi dove ne ho sentito il peso. Ecco perché ho pensato di presentarvi le pellicole che per me hanno rappresentato con forza la diversità, anche inaspettatamente. Il primo film è Ragazze Interrotte, avevo 12 anni e in teoria non avrei potuto guardarlo neanche in presenza di un adulto ma mio nonno aveva la scheda taroccata di Tele+, quindi potevo scroccare i film di Primafila e mentre lui e mia nonna riposavano, avevo campo libero.Fu un colpo di fulmine non ancora interrotto.La regia è di James Mangold, il film è tratto da una storia vera. Siamo nel biennio 1967/69, anni in cui in America qualsiasi cosa sembrasse strana poteva farti finire in manicomio, in una pervasiva condanna della differenza. La protagonista, Susanna Keysen ( Winona Ryder), ci porta nel reparto femminile dell’ospedale psichiatrico “Claymore Hospital”, dopo aver tentato di uccidersi con vodka e aspirine. E sono tutte lì, le altre pazienti, sulla soglia della loro camera insieme alla loro malattia mentale da curare con pasticche, camice di forza ed elettroshock. Anoressiche, bulimiche, bugiarde patologiche, lesbiche, traumatizzate e sociopatiche, ad aspettare di poter tirare fuori il male che le fa essere quello che sono. Ad aspettare di aver ammesso la verità, ma non una verità qualsiasi, quella giusta per non essere più sbagliate e inadatte. Vengono “trattate” per poter essere riammesse nella società, per essere salvate, o per essere definitivamente interrotte. Mi sembrava tutto stranissimo, un mondo dove io non ero mai stata e soprattutto dove non sarei mai stata. Ero un po’ come Susanna e le guardavo con paura, perché lei non è come loro, e neanche io lo ero. Susanna può uscire, il suo è stato un semplice mal di testa, diciottenne e immatura, solo troppe aspirine e troppo alcool per un semplice mal di testa. Questo però lo spiegherà al suo dottore e a noi con dei continui flashback, per adesso ha poco da ribattere, è pazza, si è rinchiusa lei stessa in manicomio e da maggiorenne ha firmato. Neanche il tempo di poggiare la valigia sul letto e arriva Lisa che le urla contro perché ha preso il posto che era di un’altra ragazza, una di quelle che si sono arrese. Lisa è immorale, affascinante e immorale, cattiva e tirannica. È Angelina Jolie nella sua interpretazione migliore. Nel film troviamo un personaggio che bilancia il contrasto tra pazzi e dottori, ed è quello dell'infermiera Valerie (Whoopy Goldberg), che si distingue poi anche dalle altre infermiere, che compiono macchinamente il loro mestiere. La Valerie che accoglie Susanna all'ospedale, che spiega le regole e che si rapporta alle pazienti con razionalità e consapevolezza, è la voce della loro coscienza, una coscienza 2.0 che si forma appena si varca la porta dell'ospedale e si è imprigionati in qualcosa che non si comprende.Riguardando il film da adulti ci si rapporta ovviamente in una maniera completamente differente. E più lo si guarda, più ci si chiede se il nostro posto sarebbe stato quello, è da pazzi, lo so, ma era così semplice finirci dentro. Susanna ha un disturbo bordeline, è al limite di se stessa, ha una visione alterata della propria persona, è promiscua, e si lega morbosamente a Lisa. Perché Lisa è l’appiglio mal afferrato che ci fa rendere conto, inconsciamente, di quanto noi possiamo essere deboli in certi momenti, ma anche che ciò che è più forte di noi può salvarci. Susanna è un cucciolo che cerca di imitare l’adulto, e lo fa anche in maniera pessima. Così la nostra protagonista si adagia nella sua diversità, nella sua sindrome, nell’immagine che gli altri hanno di lei. Accetta di essere una pazza. Di essere diversa, prende quell’etichetta è l’attacca meglio al proprio petto, come una ribellione. Lei è noi stessi che ci adattiamo. Lisa si infila nella mente, la mette in subbuglio e poi la tranquillizza. È l’espressione dell’errore, del non avere scelte. Non si può scegliere chi essere quando gli altri hanno già deciso, è troppo complicato. Ci vuole troppo coraggio per ammettere la semplicità di uno stato d’animo. E riesce a trascinarci dentro i suoi compromessi, la sua assoluta immoralità. Una delle scene più sconvolgenti e forse più belle la ritrae mentre butta in faccia la verità a Dayse, un’altra paziente, con una freddezza e un'atrocità da far venire i brividi, come se fosse un dovere assoluto. Il suo dovere di essere diversa e crudele, infernale. Ogni volta è come se rivedessi l’inferno della verità e della diversità in un luogo dove non c’è movimento alcuno e tutto è in standby, interrotto. L’unico fuori è quello della televisione, l’unica scappatoia i sotterranei dell’ospedale. Ragazze Interrotte è la mente “diversa” che si protegge da se stessa e da tutti gli altri, prima di tornare alla consapevolezza.
Diversamente, storie di ordinaria anormalità (N°1): Ragazze Interrotte
Creato il 05 novembre 2014 da Giuseppe ArmelliniE' giunto il momento anche della prima puntata della rubrica sulle diversità, o presunte tali, di Federica.Con un cult assoluto che tutti voi, tranne me, avrete visto.Il punto è che ce l’abbiamo davanti, la diversità, anche quando non lo è, soprattutto quando non lo è. I film sono stati i primi luoghi dove ne ho sentito il peso. Ecco perché ho pensato di presentarvi le pellicole che per me hanno rappresentato con forza la diversità, anche inaspettatamente. Il primo film è Ragazze Interrotte, avevo 12 anni e in teoria non avrei potuto guardarlo neanche in presenza di un adulto ma mio nonno aveva la scheda taroccata di Tele+, quindi potevo scroccare i film di Primafila e mentre lui e mia nonna riposavano, avevo campo libero.Fu un colpo di fulmine non ancora interrotto.La regia è di James Mangold, il film è tratto da una storia vera. Siamo nel biennio 1967/69, anni in cui in America qualsiasi cosa sembrasse strana poteva farti finire in manicomio, in una pervasiva condanna della differenza. La protagonista, Susanna Keysen ( Winona Ryder), ci porta nel reparto femminile dell’ospedale psichiatrico “Claymore Hospital”, dopo aver tentato di uccidersi con vodka e aspirine. E sono tutte lì, le altre pazienti, sulla soglia della loro camera insieme alla loro malattia mentale da curare con pasticche, camice di forza ed elettroshock. Anoressiche, bulimiche, bugiarde patologiche, lesbiche, traumatizzate e sociopatiche, ad aspettare di poter tirare fuori il male che le fa essere quello che sono. Ad aspettare di aver ammesso la verità, ma non una verità qualsiasi, quella giusta per non essere più sbagliate e inadatte. Vengono “trattate” per poter essere riammesse nella società, per essere salvate, o per essere definitivamente interrotte. Mi sembrava tutto stranissimo, un mondo dove io non ero mai stata e soprattutto dove non sarei mai stata. Ero un po’ come Susanna e le guardavo con paura, perché lei non è come loro, e neanche io lo ero. Susanna può uscire, il suo è stato un semplice mal di testa, diciottenne e immatura, solo troppe aspirine e troppo alcool per un semplice mal di testa. Questo però lo spiegherà al suo dottore e a noi con dei continui flashback, per adesso ha poco da ribattere, è pazza, si è rinchiusa lei stessa in manicomio e da maggiorenne ha firmato. Neanche il tempo di poggiare la valigia sul letto e arriva Lisa che le urla contro perché ha preso il posto che era di un’altra ragazza, una di quelle che si sono arrese. Lisa è immorale, affascinante e immorale, cattiva e tirannica. È Angelina Jolie nella sua interpretazione migliore. Nel film troviamo un personaggio che bilancia il contrasto tra pazzi e dottori, ed è quello dell'infermiera Valerie (Whoopy Goldberg), che si distingue poi anche dalle altre infermiere, che compiono macchinamente il loro mestiere. La Valerie che accoglie Susanna all'ospedale, che spiega le regole e che si rapporta alle pazienti con razionalità e consapevolezza, è la voce della loro coscienza, una coscienza 2.0 che si forma appena si varca la porta dell'ospedale e si è imprigionati in qualcosa che non si comprende.Riguardando il film da adulti ci si rapporta ovviamente in una maniera completamente differente. E più lo si guarda, più ci si chiede se il nostro posto sarebbe stato quello, è da pazzi, lo so, ma era così semplice finirci dentro. Susanna ha un disturbo bordeline, è al limite di se stessa, ha una visione alterata della propria persona, è promiscua, e si lega morbosamente a Lisa. Perché Lisa è l’appiglio mal afferrato che ci fa rendere conto, inconsciamente, di quanto noi possiamo essere deboli in certi momenti, ma anche che ciò che è più forte di noi può salvarci. Susanna è un cucciolo che cerca di imitare l’adulto, e lo fa anche in maniera pessima. Così la nostra protagonista si adagia nella sua diversità, nella sua sindrome, nell’immagine che gli altri hanno di lei. Accetta di essere una pazza. Di essere diversa, prende quell’etichetta è l’attacca meglio al proprio petto, come una ribellione. Lei è noi stessi che ci adattiamo. Lisa si infila nella mente, la mette in subbuglio e poi la tranquillizza. È l’espressione dell’errore, del non avere scelte. Non si può scegliere chi essere quando gli altri hanno già deciso, è troppo complicato. Ci vuole troppo coraggio per ammettere la semplicità di uno stato d’animo. E riesce a trascinarci dentro i suoi compromessi, la sua assoluta immoralità. Una delle scene più sconvolgenti e forse più belle la ritrae mentre butta in faccia la verità a Dayse, un’altra paziente, con una freddezza e un'atrocità da far venire i brividi, come se fosse un dovere assoluto. Il suo dovere di essere diversa e crudele, infernale. Ogni volta è come se rivedessi l’inferno della verità e della diversità in un luogo dove non c’è movimento alcuno e tutto è in standby, interrotto. L’unico fuori è quello della televisione, l’unica scappatoia i sotterranei dell’ospedale. Ragazze Interrotte è la mente “diversa” che si protegge da se stessa e da tutti gli altri, prima di tornare alla consapevolezza.
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