Diversi approcci di vita e di arti marziali

Creato il 12 marzo 2013 da Serenagobbo @SerenaGobbo

Mettiamo insieme quel poco che so di Tai Chi.
Intanto ho scoperto che la Luni Editrice è fallita: che disgrazia. Non sono neanche riuscita a prendermi la collezione completa degli scritti di Itsuo Tsuda.
Ma ho preso “Fondamenti di Tai Chi Chuan”, e per quel che ho capito finora, c’è una fondamentale differenza di approccio rispetto all’aikido: il senso della distanza.
In aikido ci dicevano di “sentire” la distanza, di capire qual era la distanza giusta con l’avversario (ma anche con le situazioni al di fuori del dojo) per percepire il momento dell’attacco (brutta parola, “attacco”, considerando le inversioni di ruolo tra uke e seme, ma non me ne viene un’altra).
In Tai Chi, invece, serve il contatto. O no?
Raccolgo qui alcune note prese da alcuni testi.

“La maggior parte di questi esercizi si fanno a partire dal contatto. Le tecniche di combattimento a distanza molto corta sono notevolmente sviluppate nel tai ji” (L’arte del combattere, Intervista a Kenji Tokitsu)

“Il combattimento libero nel Taichi deve essere nutrito dalla ‘forza che ascolta’ (…). E’ meglio per te ricordarti una sola parola del Taichi: Chan (Zhan) – Stare in contatto, aderire – perché tutto viene da questo. (…) Non si tratta di ‘cercare di capire’ cosa intenda fare l’avversario, ma di ‘ascoltarlo’ (…) attraverso la Forza Interna, ovvero attraverso una raffinata capacità di percezione fisica” (Fondamenti di Tai Chi Chuan, Grandi-Venanzi)

“Se voi riuscite a sentire gli altri prima che si siano mossi, allora avete raggiunto il livello dell’illuminazione” (Tredici saggi sul t’ai chi ch’uan, Cheng Man Ch’ing)

La vedo dura. Non solo a livello di arte marziale. A me piace la distanza.



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