Diviners. I rabdomanti
Rick Moody
Bompiani (Trad. di L. Vighi)
546 pagine, 20 euro
In una New York antropologicamente non troppo lontana dalla Chronic City di Lethem, una miniserie televisiva si impone come la next big thing. Orrido polpettone di cui non si conosce l’autore, il progetto intitolato Diviners dovrebbe partire dalla Mongolia antica per giungere sino alla fondazione di Las Vegas. A fare da filo conduttore, la figura del rabdomante, colui che è in grado di soddisfare la sete dell’umanità, sia essa letterale o figurata.
Cosa garantisca che si tratterà di un enorme successo non è dato sapere, eppure una volta innescata la competizione nessuno sembra voler rinunciare al progetto.
Ecco quindi che attorno alla miniserie si accalca una parata di personaggi tragicomici: l’attore di film d’azione che fatica a tenere l’uccello nei pantaloni, le garrule PR che frequentano i party VIP, i produttori indipendenti alla ricerca della gallina dalle uova d’oro, i laureati con sogni nel cassetto ma costretti a un impiego/ripiego, e così via.
Sorta di Boris in salsa yankee (e da queste parti si tratta di un gran complimento), il romanzo di Moody si propone come satira a doppio senso del mondo del piccolo schermo: prende di mira sia chi la tv la fa, sia chi si limita a guardarla, quella famiglia americana
incapace di regolarsi in materia di sessualità e di psicofarmaci, con posizioni politiche poco chiare, polemica, strafottente, brillante, disgregata, triste, e che sta per fare una cosa. Tutti insieme, tutti uniti. E la cosa che sta per fare la famiglia non è sedersi a discutere dei suoi problemi in modo tranquillo e affettuoso. No, la famiglia americana non appena la videocamera digitale si spegnerà, si dedicherà all’unica attività alla quale si dedica con regolarità, guarderà la televisione.
Niente di particolarmente originale, questo va detto chiaramente. Moody spinge più che altro sull’assurdità di situazioni e personaggi (spesso con felici trovate), ma in quanto a critica sociale non stupisce quasi mai per angolazioni spiazzanti o brillanti epifanie. E a volte sembra perdere la presa sulle briglie e lanciarsi a folle velocità in bocca al massimalismo più compiaciuto.
Però Diviners si legge con piacere, non lo posso negare.
Quasi tutti i capitoli funzionerebbero alla perfezione anche come racconti autosufficienti, costruiti attorno a uno o all’altro degli innumerevoli protagonisti. E così la lettura scorre, più o meno senza intoppi, per oltre 500 pagine, forse non tutte sfruttate al meglio (la conclusione giunge un po’ brusca, qualche capitolo sembra poco centrato) ma capaci di regalare comunque un mix molto ben dosato di sorrisi e amarezza.
Giunti ai titoli di coda, si ha l’impressione che in Diviners la somma dell’insieme sia in qualche modo inferiore alla somma delle parti, e che per questo il romanzo non meriti una promozione a pieni voti.
Promozione che, nonostante tutto, credo spetti invece a Moody, autore a mio avviso molto, molto interessante.
Uno di quelli che, come dire?, sembra tenere davvero a ciò che scrive, anche quando non rende al meglio delle proprie capacità, come accade in questo caso.
Metto quindi Diviners un gradino sotto a Rosso americano (di cui avevo parlato qui), ma abbastanza in alto per spingermi a leggere altro di Moody.
Pro:
- La gara tra fattorini, inconsapevoli del fatto che si sia scommesso sulla consegna.
- Il capitolo dedicato agli enologi.
- Il primo capitolo, che descrive l’alba a partire da Los Angeles per giungere a New York. Un po’ verboso, forse, ma molto affascinante.
Contro:
- Qualche dialogo, implausibile anche per personaggi bislacchi come quelli di Moody.
- Qualche capitolo si sarebbe potuto eliminare.
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Tagged: Diviners. I rabdomanti, Letteratura, Recensione, Rick Moody, romanzo
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