Anno: 2012Durata: 165'
La trama (con parole mie): Django è uno schiavo separato dalla moglie Broomhilda a causa dei fratelli Brittle, liberato proprio per identificare i suoi ex padroni dal dentista e cacciatore di taglie King Schultz.
Tra i due uomini nasce un'amicizia che li porta a lavorare insieme non soltanto per catturare i suddetti fratelli ma per guadagnare abbastanza da considerare l'elaborazione di un piano che preveda di liberare la stessa Broomhilda, nel frattempo divenuta proprietà dello spietato Calvin Candie, appassionato di lotta tra schiavi nonchè psicotico esempio di ricco ragazzo bianco abituato al dominio.
La strada per la libertà e per la conquista della sua Broomhilda sarà per il sigfriedesco Django molto più complessa e lastricata di sangue di quanto non si potrebbe credere.
Se poi lo stesso è un western, finisce che il sottoscritto si ritrova a dover misurare quelle stesse aspettative con il genere con la g maiuscola del Saloon, la base sulla quale si poggia molta della mia personale mitologia cinematografica radicata nell'infanzia passata a casa di mio nonno materno a guardare i film con John Wayne.
Potenziale enorme, dunque, ma rischi dannatamente alti: perchè una delusione lungo la Frontiera è decisamente più cocente che in qualsiasi altro luogo cinematografico della Terra.
Fortunatamente il buon, vecchio Quentin è tornato a fare quello che sa fare meglio, ovvero il grande regista ed il grande sceneggiatore, oltre ad un amante a tutto tondo della settima arte con un talento spiccato nello stare dietro la macchina da presa, e dopo la perla che fu Bastardi senza gloria confeziona un'altra magia da restare a bocca aperta, mescolando il gusto un pò kitsch dell'epoca degli spaghetti western - ed omaggiandolo al contempo - all'approccio di rottura che è stato proprio il western degli ultimi vent'anni, da Dead man a Gli spietati: e lo fa applicando ad una storia di vendetta, follia, sangue e violenza nella migliore tradizione del "suo" pulp una tematica che pare uscita da un cocktail di Ghost dog e Spike Lee all'ennesima potenza, la questione della libertà legata al razzismo.
Ma la storia non è soltanto trovare un tema profondo e ad effetto e sposarlo ad una messa in scena clamorosa, una colonna sonora come sempre perfetta ed un cast in spolvero incredibile - grandissimo Christoph Waltz con il suo accento tedesco e la mossa dei baffi arricciati, strabiliante DiCaprio, un vero e proprio talento cristallino -, bensì fare di esso un proprio tema profondo, consegnandolo a passaggi che sono veri e propri pugni in faccia celati dietro all'ironia al vetriolo dell'autore nativo del Tennessee - su tutti la divertentissima sequenza dedicata al Ku Klux Klan e ai suoi cappucci e a quello che, a mio parere, è il passaggio fondamentale della pellicola, lo scambio che avviene tra Schultz, Candie e Django a proposito dell'acquisto dello schiavo che ha tentato la fuga: quel "è europeo, non è abituato a vedere un uomo fatto a pezzi dai cani" è un ritratto disincantato e feroce degli USA della segregazione razziale e della legge del più forte che proprio il western moderno ha di fatto contribuito a mostrare impietosamente -.
E così, da divertito e sopra le righe omaggio ad un filone che fece la fortuna anche del Cinema italiano ormai quarant'anni fa, alla Trilogia del dollaro e all'originale Django - spassosissimo il piccolo ruolo ritagliato per Franco Nero, protagonista di quella pellicola ed originale "portatore" di quel nome -, Django unchained diviene un manifesto della lotta per i diritti razziali condotta con la favella di Schultz - personaggio indimenticabile - e portata a compimento dal braccio vendicatore di Django, che balza senza pensarci due volte nell'Olimpo dei charachters votati al riscatto del regista accanto alla Sposa: i due protagonisti si avvicinano l'uno all'altro un passo alla volta a suon di proiettili e risate quasi ci si trovasse in un buddy movie condito da ettolitri di sangue nella prima parte per poi concedersi una virata insolitamente drammatica dall'entrata in scena di Candie/DiCaprio, una tecnica che il vecchio Clint aveva sfruttato alla grande nel suo Capolavoro Gran Torino, e che Tarantino rispolvera alla sua maniera cogliendo davvero tutto il meglio che poteva essere pescato dalla materia.
Il crescendo del confronto tra Candie ed il suo schiavo "venduto" Stephen e i due cacciatori di taglie è un magnifico climax da opera, o dramma teatrale pronto a culminare nel festival di cadaveri e corpi spappolati che ci si aspetterebbe quando a gestire una faccenda ci sono il bad boy Quentin ed i suoi singolari antieroi.
Ma Django unchained è davvero molto, molto più sfaccettato di questo: in nessun altro film si riuscirebbero a trovare mitologia nordica - la storia di Sigfrido -, lotte razziali da rap di strada ed iperviolenza mischiati tutti in un contesto western.
E scoprire che funzionano come fossero una cosa sola.
Django unchained è la definitiva conferma e consacrazione di un regista superlativo, una dichiarazione di guerra esplosiva e "cocky" all'indirizzo di un'elite a stelle e strisce che passa dalle armi da fuoco ai semi disturbati delle pretese da razza superiore.
Ma prima di tutto e di ogni altra cosa, recensione o lettura a più livelli, perizia tecnica o classe recitativa, Django unchained è un fottuto, grande film.
E questo dovrebbe bastare per tutto quanto.
MrFord
"Pain of all the lies
pain in all them lives
pain of losin homes
pain of the unknown
pain of what you spent
pain of government
no matter what you say
you don't pay
here they come to take it away
don't give up
don't give up the fight."
Public Enemy - "Don't give up the fight" -