Django unchained

Creato il 06 aprile 2013 da Sweetamber

L’ho visto. E adesso viene il difficile, parlarne. First thing first, io non ne so granché di western, ne ho visti diversi ma non mi ci sono mai troppo appassionata, pur avendo una minima dimestichezza con quel che concerne le scene tipiche da western. Questa premessa è obbligata a giustificare tutte le mancanze in merito che inevitabilmente riscontrerete nel mio parlare di questo film.
Dura due ore e quarantacinque minuti ma non c’è stato un singolo istante in cui io mi sia annoiata o abbia sperato che finisse in fretta (con  Inglorious basterds mi era capitato del resto in una sola scena di pochi minuti), ho amato tutto di questo film e non sono riuscita a trovarci difetti di sorta. Stupendo.
Gli attori, magistrali e ineccepibili, su tutti regna Cristoph Waltz (Oscar meritatissimo) che da solo merita la visione in lingua originale, ma ci sono anche Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Don Johnson, Samuel L. Jackson e Franco Nero in un piccolo cameo. Dal momento che il film è mastodontico, vado a piccole dosi partendo proprio dal considerare questa interessante schiera di attori.
Sapevamo già tutti che Di Caprio fosse altra cosa da Titanic, grazie a film come The departed e Blood diamond , ma personalmente non avrei mai immaginato potesse essere così tanto bravo. Calvin Candie (Monsieur Candie) è un figlio di puttana, passatemi il termine; uno che gode delle sofferenze altrui, uno schiavista senza rimorsi, un sadico della peggior specie oltre che un totale spostato mentale. E’ un tizio che conserva il teschio di uno povero schiavo di colore morto diversi anni prima in una valigetta da dottore e ne sega l’ossatura per mostrare la conformazione del cranio e giustificare così una presunta propensione alla sottomissione da parte delle persone di colore.
Calvin Candie è quello che piazza due schiavi a lottare nella propria stanza dei divertimenti lasciando che sporchino il pavimento in listelli di legno con il loro sangue finché uno dei due non viene annientato dal più grosso, con grande disappunto di Franco Nero che fa trascinare via il cadavere del proprio lottatore in un cameo riuscitissimo. Infligge ai propri schiavi punizioni tremende senza dimostrare un minimo di umanità e senza mai insudiciare i preziosi abiti che indossa o scomporre la curata capigliatura e fin dal primo istante in cui fa la sua comparsa si spera che Tarantino lo faccia schiattare malissimo. Il dott. Schultz gli cita Dumas e lui, mangiando la torta alla crema di burro evidentemente in debito di conoscenza al riguardo, viene informato di aver chiamato uno degli schiavi come il protagonista del romanzo di un autore contrario allo schiavismo. Touchè (la sua scarsa cultura viene fuori anche quando l’avvocato lo presenta a Django e Schultz dicendo loro che Candie ama il francese ma detesta che venga parlato di fronte a lui perché non lo sa comprendere)
Dietro la patina educata e amichevole di questo bastardo c’è tutta la crudeltà dettata dal potere che gli viene trasmesso dall’idea di aver dominato una “razza” considerata “inferiore”, crudeltà che emerge ogni qualvolta la sua presunta intelligenza venga messa in dubbio o la sua autorità contrastata e contestata. Quando Schultz si rifiuta di stringergli la mano per concludere l’accordo di vendita sulla povera Broomhilda, Candie ingaggia una lunga discussione sul fatto che un accordo non possa essere chiuso senza che sia sancito da una stretta di mano.
Trovo che sia fantastico il modo in cui Tarantino tratta i propri attori: più emerge la loro bravura, più lui li omaggia non solo creando personaggi su misura per loro, ma anche lasciando che il loro estro emerga fino a spingere la loro interpretazione a quell’eccesso che è carattere fisso di ogni sua pellicola. E nessuna critica su Tarantino potrà mai scalfire questa sua propensione ad omaggiare pienamente i propri attori.
Jamie Foxx è stato a lungo poco considerato come attore, finché non ci si è resi conto di come fosse in grado di risollevare le sorti di film mal giudicati come Collateral e finché non ha messo la faccia per interpretare Miami Vice accanto a Colin Farrell.
Django (la “d” è muta) è lo schiavo più incazzato di tutti e aspetta solo di avere in mano una pistola o un fucile per dimostrarlo, anche se non ama uccidere se non ne ha ragione. Come Beatrix Kiddo ammazza ma in realtà ha un animo buono e una motivazione finale che gli rende onore (salvare la moglie dalla schiavitù di Candie). Però quando ammazza lo fa in grande stile e sporca le pareti candide della villa di Calvin Candie con litri e litri di sangue, dando scampo solo alle due povere serve di colore che fuggono come lepri di fronte al macello che combina per riprendersi la moglie. Solo Tarantino in persona, in uno dei suoi soliti cameo, riesce a rubargli la scena ma per poco. Certo, c’è da considerare anche la presenza di Cristoph Waltz che in effetti lo surclassa in qualche occasione, ma l’ultima parte del film è tutta sua e non è certo un caso. Waltz gli “lascia” educatamente il gran finale con botto.
Per spiegare questo personaggio riesco solo a pensare ad una scena del film, ovvero quella in cui Candie fa sbranare dai propri cagnacci inferociti un povero schiavo di colore (vorrei inserire una postilla relativa al fatto che mentre i cani sbranano lo schiavo si sentano unicamente i suoni di sottofondo mentre si assiste ad un dialogo fra Candie e Django, mentre vediamo spezzoni della morte dell’uomo quando Schultz ascolta Fur Elise suonata all’arpa. Magistrale citazione del miglior cinema e del miglior montaggio vecchio stile.) e Django, pur turbato dalla visione, la cui crudeltà emerge solo dalla sua espressione di un momento, finge noncuranza con Candie esortandolo a mostrargli qualcosa di più forte di una scena così poco impressionante.
Kerry Washington, ovvero Broomhilda Von Schaft è una donna di Tarantino come le ragazze di Deathproof o come Uma Thurman: quindi ha i controcazzi. E’ sopravvissuta alle frustate, ad anni ed anni di umiliazioni e schiavitù ed ora è una delle donne di piacere nella magione di Candie. Nonostante questo, si distingue dalle altre per la propria riservatezza e il proprio orgoglio che non si piegano alle smancerie delle altre schiave che non hanno più nulla da perdere e sono rassegnate alla propria condizione.
Broomhilda (Hildi) è il personaggio più atteso perché è il motivo principe per cui Django percorre miglia e miglia con Schultz e accetta di essere suo compare facendo il cacciatore di taglie e lo schiavista di colore (!). E’ la donna del western per eccellenza, quella che dopo innumerevoli lotte e difficoltà e dimostrando grande forza d’animo e amore per il proprio uomo ottiene ciò che desidera: la vendetta. Anche qui viene in mente il personaggio della Sposa di Kill Bill, inevitabilmente.
Ho lasciato come personaggio ultimo dei principali protagonisti quello di Cristoph Waltz, ovvero il Dottor Schultz ma significa soltanto che è quello che mi ha ammaliata in maniera più forte, senza nulla togliere agli altri attori.
Schultz gironzola fra terre aride e dense di schiavismo e banditi con una carrozza su cui troneggia un grosso dente montato su una molla che dondola molliccio ad ogni scossone e contiene il bottino guadagnato di volta in volta dal “dottore”, che di mestiere non fa il dentista ma il cacciatore di taglie. Accompagnato da un foglio firmato da un tribunale, cattura (vivi o morti) banditi di ogni sorta e ne riscuote poi la taglia in denaro. Ammazza gente per vivere, si, ma solo gente cattiva. Un “buono” alla Tarantino, o meglio, un buono da western (potrei citare qualche ruolo impersonato da Clint Eastwood ma ne ho in mente appena una manciata) con lunghi capelli e folta barba, di piccola statura ma di gran parlantina. Stupenda la scena del saloon, ma anche quella alle tenute di Spencer Bennett è da incorniciare, quando presenta il proprio documento e pretende il riscatto per la cattura dei malviventi per togliersi dalle scatole.
Cristoph Waltz è come Tim Roth, un piccolo folletto che interpreta sempre alla perfezione i ruoli aggiungendo quel tocco personale di follia che lo rende inimitabile.
Con invidiabile nonchalanche il suo personaggio si presenta a tre bifolchi nel buio della notte mentre questi stanno trasferendo alcuni schiavi incatenati pretendendo di acquistarne uno e mostrando il proprio disprezzo verso gli schiavisti gli dà una sistemata mettendo in mezzo anche un povero cavallo, l’unico per cui dimostra pietà e dispiacere. Prende Django ma non lo tratta da schiavo e stabilisce un patto con lui decidendo di aiutarlo se lo seguirà nella propria caccia sino alla fine dell’inverno.
Non si può non amare un personaggio come Schultz, tedesco (ennesimo omaggio alle origini di Cristoph Waltz nonché modo per impiegare al meglio i talenti di un attore o le sue capacità) che parla anche francese e conosce la letteratura francese (a differenza, come dicevo sopra, di Candie, la cui unica conoscenza approfondita è per le becere teorie schiaviste), che invita Broomhilda nella propria stanza e indossa in gran fretta la giacca sistemandosi i capelli per non rendere equivocabili le sue intenzioni e le fa promettere di non gridare appena la porta della stanza accanto si aprirà. Posso riassumere il mio pensiero con: caro Cristoph, il tuo Oscar è così strameritato che te ne do un altro io aggratis.
In un film di Tarantino, si sa, non ci sono solo gli attori principali, ma anche tanti e tanti attori secondari: comparse che sono i guerci della situazione, piccoli omaggi nascosti e, ovviamente, Tarantino stesso che si diverte e fare il bombarolo.
Don Johnson, fra l’altro protagonista del telefilm di Miami Vice negli anni ’80, è Bennett, uno schiavista piuttosto stupido ed ingenuo che cede senza troppo batter ciglia a qualsiasi lusinga purché  ci siano di mezzo i soldi e che poi tenta una vendetta pasticciata senza molto successo e radunando le peggiori teste calde del west. La sequenza in cui discutono infinitamente sui tagli effettuati dalla moglie di uno di loro nei sacchi che utilizzeranno per coprirsi la testa durante la loro incursione alla carrozza di Schultz perdendo un sacco di tempo utile a ragionare sulla suddetta incursione è molto divertente ed è una sequenza puramente tarantiniana, al pari di quella di Reservoir dogs al tavolo o di quella di Deathproof sempre al tavolo di una caffetteria. E’ la scena compare delle due citate, solo che avviene nel mezzo del nulla con un branco di trenta o quaranta tizi con le teste incappucciate che non riescono a vedere una mazza perché la moglie di uno di loro ha tagliato troppo poco.

Scusate, dovevo condividerla. Poveracci, vorrebbero apparire cattivi come i veri banditi ma il risultato è un tantino differente. E divertente.
Samuel L. Jackson è il portafortuna di Quentin e lui appena può lo inserisce in un suo film e lo ringrazia di esistere. Qui Jackson interpreta un nero molto incazzoso che apparentemente è libero come Django ma che in realtà è uno schiavo spaventato dal padrone, servile e crudele ed umilia donne e uomini di colore e schiavi esattamente come lui traendone grande godimento. Purtroppo per Django e il Dottore, è anche molto scaltro e percepisce subito l’inganno che i due tentano di nascondere ed è lui a smascherarli con Candie.
Devo omaggiare anche la presenza silenziosa (e misteriosa) di una donna cara a Tarantino quasi quanto Uma Thurman, ovvero Zoe Bell: pressoché identica alla Thurman, Tarantino l’ha impiegata come controfigura in Kill Bill Vol.1 e Vol.2 e l’ha resa protagonista della scatenata seconda parte di Deathproof rendendo giustizia alla sua straordinaria preparazione fisica. In Django unchained è la pistolera con la bandana color terra che ad un certo punto del film utilizza una specie di stenoscopio per guardare alcune delle prime fotografie scattate nel west. Sarà sicuramente una citazione che purtroppo non sono riuscita a cogliere.
Non è l’unico attore feticcio di Tarantino che appare nel film. Uno dei due scagnozzi che con Tarantino porta Django via dallo scempio di Candyville per trasferirlo alla magione di LeQuint c’è anche Michael Parks, lo sceriffo di Kill Bill (quello che riceve lo sputo dalla Sposa) nonché interprete di quello stesso ruolo di Grindhouse: deathproof e Grindhouse: Planet Terror.

Inevitabilmente, in questo film gli attori sono i protagonisti assoluti, ma non ci sono solo loro: al di là dello script che ha vinto l’Oscar, le musiche sono da primato (anche se ho poco gradito il pezzo di Elisa), così come i costumi e le scenografie. Il montaggio è superbo, fra tutti gli spezzoni più interessanti eleggo a principe quello del bianchissimo cotone delle coltivazioni Bennett macchiato dal sangue di una delle taglie di Schultz, anche se tutta la sequenza con sottofondo Fur Elise di Beethoven gode di ottimo montaggio così come l’inserimento dei flashback della tortura di Broomhilda con altri della schiavitù di Django.
Non so perché questo film sia stato tanto criticato, non capisco davvero perché secondo molti Tarantino sarebbe peggiorato semplicemente perché io stimo molto questo regista e difficilmente so trovare difetti in quello che fa. Chi lo definisce un citazionista senza limiti non ha capito granché così come chi vede in lui un tizio che gioca con la regia senza riguardi o opinioni simili.
Due ore e quarantacinque di film senza un solo momento morto non sono cosa da tutti, basti pensare a Christopher Nolan con il suo The dark knight rises in cui più di una scena arrancava non sempre in misura minima o ad altri cosiddetti colossal di durata megalomane che si potrebbero ridurre tranquillamente a un’ora e mezza sincera e schietta di film.
Detto ciò e scusandomi per le lacune cui sono soggetta per ignoranza, ho amato questo film, ho trovato inaspettatamente azzeccatissima perfino la scelta di Di Caprio come cattivo della situazione e non ho nulla da criticare. Guardatevi questo film anche più di una volta e, se non lo avete apprezzato, sono certa che cambierete opinione.


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