Partiamo dal livello più semplice, che intreccia biografia e reportage politico. Point and shoot racconta la storia del nerd Matt VanDyke, 27 anni all'epoca delle riprese e originario di Baltimora, U.S.A. Lo vediamo, nelle prime inquadrature, presentare il suo equipaggiamento: due coltelli, giubbotto antiproiettile, casco fornito di videocamera. Si scopre poi, dalla sua intervista a Curry, che è stato un bambino viziato (figlio unico di un figlio unico di un figlio unico), che è sempre stato molto solitario e che è affetto da un DOC (disturbo ossessivo-compulsivo). Le manifestazioni spaziano da fobie lievi come l'ossessione per la pulizia al terrore di far male per sbaglio. Guidando la macchina, per esempio, Matt si trova costretto a fermarsi: ha la sensazione di aver investito qualcuno
Come passa il suo tempo il giovane VanDyke? Guarda film d'avventura e d'azione e gioca ai videogames: la sua formazione è improntata al gusto per l'avventura. Matt si innamora poi dell'esotico Medio Oriente grazie al Lawrence d'Arabia di David Lean, e all'università deciderà di studiare quella che è tra le aree geopolitiche più complesse della nostra contemporaneità. Il VanDyke affetto da DOC è, dunque, un perfetto figlio dell'epoca dell'invasione massmediatica su piccolo schermo, grande schermo e internet.
Sembra una fiction, ma è la storia è vera. Il nerd decide di imprimere una brusca svolta alla sua esistenza. Ispirandosi ai film d'avventura da cui è stato allattato, parte per un road trip sulla sua moto, munito di casco e annessa videocamera che filmerà ogni istante del suo viaggio: 55 000 chilometri attraverso il Maghreb, partendo dallo Stretto di Gibilterra fino al suo personalissimo Medio Oriente gonfio di miraggi. Nelle sue intenzioni, si tratta di un “corso di virilità” accelerato. Apparente bizzarria: il DOC non lo ostacola, anzi lo favorisce. Matt filma in modo ossessivo le situazioni che lo disturbano e le proprie reazioni. In questo modo, riesce non solo a proseguire il suo viaggio, ma sviluppa quella dipendenza da adrenalina che coglie chiunque viva esistenze o periodi ad alta velocità e/o ad alto rischio.
Non vi sembra che Matt, che qualcuno avrebbe dovuto inventare se non esistesse, sia un paradigma virante al surreale – suo malgrado – del giovane contemporaneo, anzi dell'uomo contemporaneo? Ancora di più, Matt è un personaggio che fa levitare Point and shoot a un livello metacinematografico. Il DOC da cui è afflitto, è il DOC che affligge il documentarista di una civiltà dell'immagine e dell'informazione schizoide come l'attuale. Una metaforica schizofrenia attacca, infatti, l'esistenza del giovane di Baltimora e della maggior parte dei ribelli libici accanto ai quali combatterà.
Point and shoot pone queste (e altre) domande senza fornire una risposta. È un film fortunato e intelligente su una “crisi”. Non è, perciò, solo un lavoro “per registi”, ma anche “per spettatori contemporanei”, costretti a diventare più discriminanti, acuti, disincantati e demistificanti di quanto non lo fossero in passato. È, insomma, un DOC sulla percezione. Ed è poi un DOC sull'identità di sé (di noi individui post-post-moderni a cui sembra di poter attingere a qualunque realtà, la quale, al contrario, ci rimane sconosciuta).
Ancora: in questa dimensione esplosa, centrifuga e straniante, quale ruolo è riservato all'autentica coscienza civile e alla presa di posizione attiva? E quale funzione può svolgere un documentario di denuncia?Il film di Marshall Curry parla di tutto questo partendo dall'esperienza paradossale di Matt VanDyke. Non perderei l'occasione di vederlo e di farlo vedere a figli o a studenti per discuterne con loro. A questo link, intanto, il trailer di Point and shoot, che ha il grande merito di bombardarci di domande e di far deflagrare le contraddizioni del genere “documentario” contemporaneo
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/docufilm-point-and-shoot-di-marshall-curry)