La domanda è molto semplice: esiste un’età in cui si dovrebbe smettere di fare cene fra amici uomini?
Tendenzialmente la risposta è no, si, forse in alcuni casi è la classica risposta di circostanza, magari qualcuno ne farebbe volentieri a meno, oppure altri, forse la maggioranza, la vivono come un’occasione per fuggire dalla routine quotidiana, che comprende mogli, figli, cani da portare a spasso e buste di immondizia da gettare, sperando di incrociare, lungo il tragitto che li separa dal cassonetto, la figlia della fruttivendola che ha un culo che da solo ti svela il terzo segreto di Fatima.
Personalmente non mi capita spesso di cenare fuori, a dirla tutta non ne sento neanche il bisogno, ma un paio di giorni fa mi giunge un messaggio e aprendo il suo contenuto mi si è manifestato un invito per una reunion fra vecchi amici. Un pò come quando apri l’uovo di Pasqua e appare l’anellino di stagno col fiorellino sopra. Già rotto.
La mia leggendaria pigrizia post- lavoro (che poi alla fine è uguale a quella “pre” lavoro e “durante” lavoro) mi fa rispondere con una frase laconica e inattaccabile: “sono da un cliente, ci penso e poi ti faccio sapere”, che tradotto nel mio linguaggio sarebbe: “sto prendendo tempo per inventarmi una scusa plausibile per non venire”.
Torno a casa, confesso che non ci pensavo neanche più, dopo tre ore mi arriva un altro messaggio: “dhe ciccio, pensaci dell’altro” (è in fedele dialetto livornese, ma rende bene il concetto).
Confesso che ho temuto seriamente di trovarmi nel copione del film “La cena dei cretini”, non so se lo conoscete: un gruppo di amici si ritrova e ognuno di loro deve portare con sé un cretino (che ovviamente non sospetta niente), colui che porta il cretino…più cretino vince un favoloso premio (confesso che sulla scia di questo copione, ho partecipato una volta ad una…cena delle cozze, ma non ne vado fiero, anche perchè non ho vinto).
Insomma, la faccio breve, ho deciso di andare.
Ma si, una cena fra veri uomini, a base di grigliata di carne, vino chianti, rigorosamente Gallo nero, spumante e acqua leggermente frizzante. Per me. Prevedevo risate, prese di culo, calvizie incipienti e pance alla Bud Spencer. Per sicurezza mi sono imboscato il mio fedele blocchetto nella tasca della felpa. Convinto che ci sarebbe stato da prendere succulenti appunti.
E quindi eccoci qua, una dozzina di ex ragazzotti, sulla soglia dei quaranta, seduti ad un tavolo, che fra di loro non si chiamano mai con il nome di battesimo. Fra uomini non usa, vengono coniati dei pittoreschi soprannomi tipo: ‘Ciccione’, ‘Testa di cazzo’, ‘Buffone’, ‘Godzilla’, qualcuno confessa scelte discutibili, ci raccontiamo aneddoti che conosciamo a memoria ma che ci fanno ancora piegare in due dalle risate. La grigliata fa schifo, non si riesce neanche a capire a quale tipo di animale appartenga la costola che stiamo mangiando, ma notiamo che mancano un paio di gatti che ci gironzolavano intorno prima che ci sedessimo a tavola.
Parliamo pochissimo di donne e troppo di calcio, si, forse stiamo invecchiando un pò.
Effettivamente se riesci a ricordarti le gesta di Carlo Ancelotti con il pallone fra i piedi, forse un pò di candeline le hai spente.
Poi alle cene fra uomini c’è sempre l’ostacolo della divisione del conto. Ci presentiamo tutti alla cassa con banconote da cinquanta, che il padrone per fare i resti è costretto a fare un salto in sacrestia, e alla fine c’è sempre lo sfigato che deve pagare di più, perchè la crisi si fa sentire anche durante il rito dell’offertorio.
Probabilmente non vogliamo arrenderci al tempo, si, perchè siamo in quell’età che avresti voglia di fare le cose che facevi dieci anni fa e invece ti ritrovi a riflettere su quelle che farai fra dieci anni, un misto fra il desiderio di salire nuovamente sul Tagadà del Luna Park (che non ho ancora capito se è una giostra internazionale o se esiste solo nella mia provincia) ed evitare di farlo perchè se ti giochi il legamento crociato poi come farai ad andare a lavorare per estinguere il tuo mutuo cinquantennale?
E allora ti accontenti di fare la tua comparsata su facebook e di lasciare commenti insulsi, principalmente per essere al passo coi tempi, perchè, diciamocelo, che cazzo gliene frega alla gente se hai forato la macchina in superstrada, ma tu lo scrivi lo stesso e per essere sicuro che ti notino ci tagghi pure una ventina di persone.
E allora, queste cene servono per farci comprendere che siamo cambiati e per compatire quei due o tre che non l’hanno capito e si presentano con i bermuda e il bomber double face dei primi anni novanta, grigio fuori e arancio a.n.a.s. dentro.
Durante questi incontri ti viene naturale fare dei bilanci e ti domandi se le cose siano andate veramente come le immaginavi, se la tua e la loro vita abbia preso la piega sperata, alcuni si sono “realizzati”, altri sono ancora “under construction”, qualcuno ha preso schiaffi dal destino e li ha presi così forte che porta ancora il segno delle cinque dita sulla guancia, ma per un paio d’ore abbiamo lasciato tutte le nostre inquietudini fuori dal locale, come se sulla porta ci fosse il cartello “noi non possiamo entrare”. Consapevoli che una volta usciti le nostre esistenze avrebbero comunque ripreso il loro corso regolare. E la bacheca del tuo profilo sarebbe stata lì pronta a testimoniarlo.
Ci siamo salutati promettendoci di ripetere presto questa cosa, sapendo già che non sarà così. Ma sono quelle cose che si dicono senza crederci, solo per il piacere di sentirsi per un attimo nuovamente a fare gli scemi nel centro del Tagadà.