di: Stacy Peralta
USA - Documentario
2001 - 90 min
Seconda Parte
Quello di Jay Adams, ad esempio. Tredicenne super biondo ed esile, sguardo corrucciato quanto beffardo; interprete personalissimo di un modello
imprevedibile e sorprendente, in grado di portare al limite estremo piroette
eternamente sul filo di concludersi nello smacco della caduta: mini 'silver
surfer' metropolitano, in maglietta, calzonacci e scarpe di gomma. Leggero,
silenzioso, preciso e indifeso, come può esserlo l'epitome persino ovvia di
quel portento talmente naturale da essere quasi involontario ma del tutto
inerme una volta enucleato dal suo elemento naturale (Adams e' l'unico dei Z-
boys a non avere con calcolo "messo a frutto" le proprie doti, allontanandosi
pian piano dai riflettori e apponendo nome e cognome in esergo al già corposo
cast della grande-tragedia-americana a suggello di una parabola spezzatasi
troppo in fretta per via di abusi di alcool e droghe a fatica arginati).
L'affermarsi di un canone inedito, l'imporsi di qualunque "sentiero nuovo", e' spesso il frutto inaspettato e magico della concatenazìone di avvenimenti
indipendenti da un esplicito atto volontario, la cui eventuale tenacia nel
perseguirlo, pero', e' come se, alla lunga, brigasse a predisporre gli eventi
su una certa linea. Chiaro che non si parla di una regola scolpita su chissà
quale marmo nobile; d'altra parte, se e' vero che non sempre e non tutto va a
finire in malora, diventa sensato affermare che un'estate particolarmente
siccitosa - oltre a far serpeggiare il panico nelle carni molli dei pezzi
grossi di un sostanzioso spicchio di California e aver fatto fibrillare un po'
le statistiche circa la microcriminalità e il vandalismo - porto' con se' anche
il secondo grande rivolgimento all'interno del piccolo universo dello 'skate',
ulteriore crinale fra un prima e un dopo, che vide di nuovo lo Z-Team ballare
al centro del palcoscenico. Tra le non poche fissazioni ascrivibili all'"amico
americano" (non solo abbiente), c'è di sicuro quella che stagna nel cortile di
casa perfettamente pareggiato dal tagliaerba almeno fino a quando non s'aggruma
attorno al progetto di costruzione di una piscina privata. In piena arsura e
con l'acqua razionata, i-buchi-a-mattonelle-celesti della California del Sud,
in quell'estate dei Settanta, si svuotarono ben presto, lasciando il posto a
strani reperti di archeologia para-industriale nella foggia di discariche
domestiche a cielo aperto. Il nesso era evidente, se non altro all'occhio
ricettivo di uno 'skater': la buona novella era li' che andava messa alla
prova. Comincia così il tour (illegale: pur sempre di violazione di domicilio,
si trattava) delle vasche abbandonate delle zone nei dintorni di Venice e, con
ogni probabilità, l'inserto più intimo e più affascinante dell'intero lavoro di
Peralta. Sulle prime, non sembra accadere granché: ragazzini mezzi nudi e
abbronzati fanno su e giù, avanti e indietro, sul lastricato di una piscina
preventivamente ripulita e asciugata.
Il 1975 e' l'anno in cui si compie il disastro in Vietnam, mentre ancora non e' stato nemmeno pre-digerito il grosso boccone del Watergate, con annesso
contorno di un Presidente caldamente invitato a togliersi dai piedi. Buttando
un occhio al Cinema, escono, tra gli altri, "Barry Lyndon", "Lo squalo",
"Killer élite", "Nashville", "Qualcuno volo' sul nido del cuculo". Eppero' e'
anche, nel suo piccolo, l'anno in cui lo Zephir Team si presenta al Campionato
di Skate di Del Mar (Ca) e sconvolge il mondo della tavola-a-ruote. Riviste e
telecamere cominciano a riportare sempre più di frequente notizie riguardanti
una combriccola di giovanissimi che maneggia/padroneggia lo 'skate' come nessun
altro. E' il momento dell'onore delle cronache e dell'emergere netto di ciò che
la compattezza dell'insieme celava nell'indistinto: le sfumature dei caratteri,
le inclinazioni della personalità, le ambizioni, le ritrosie.
TFK
Fine
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