Stanno tutti bene... ma, a ben guardare, c'è il figlio che è scomparso, la figlia fallita nel suo sogno di diventare un'artista, un politico senza futuro e un musicista senza ritmo, una donna il cui matrimonio non ha un senso e un nipote che vive di surrogati alimentari e visivi. C'è un sogno surreale, un po' Dalì e un po' Bergman, che attraversa come un'ondata le fondamenta di questa pellicola amara e intensissima su ciò che vuol dire mentire a se stessi e alla propria vita.
Ogni volta è sempre la stessa storia: Matteo Scuro è lì, quasi per capriccio gli controllano i documenti, lo guardano e dicono "Lei è siciliano", senza punto interrogativo alla fine, come per chiedere a se stessi "Quanta strada hai fatto per venire fin qui?" e non voler rispondere. E nessuno a domandare dove vada, e perché, e chi siano i suoi figli: generici complimenti e via, sono anime e persone. Sarà amaro, traumatico, scoprire di non esserselo chiesto mai neanche lui, di non essersi mai voluto ascoltare.
Commesso viaggiatore di rimbalzo tra un rifiuto e l'altro, mendicante di storie quanto più simili possibile a ciò che vuol sentirsi raccontare, Matteo Scuro finisce con l'alzarsi e andarsene e tornare a raccontare bugie, quasi un atto di pietà.