Peccato. Peccato perchè Timi e il ragazzino Alvaro Caleca sono una coppia padre-figlio insolita in un film e hanno lavorato in modo complesso per raggiungere una'alchimia simbiotica sullo schermo. Peccato perchè Salvatores con Ammaniti ci va a pennello. Peccato perchè il libro è deflagrante. Peccato, semplicemente peccato. Questo film non funziona per nulla. Non è questione di imperfezione, è questione di riuscita. E il film, con l'eccezione del duo attoriale portante, è qualcosa non solo di trascurabile ma anche di evitabile. L'input c'è, è nel libro, la location potrebbe aiutare, ma si trasforma in un locus ameno funzionale quanto le scenografie di un interno, ovvero del tutto incapace di trasferire un messaggio che parta dal paesaggio e arrivi allo spettatore per purezza e verità. Accostare luoghi desolati e bui, cave e case diroccate propende per un'artificiosità maggiore. Il regista si assicura un certo viraggio cromatico, una certa atmosfera che puzzano di finzione a miglia di distanza. Due le cose imperdonabili. Una seconda parte ridicola, in cui non c'è nessun controllo nè di copione nè tecnico. E due attori completamente fuori parte. Fabio de Luigi è l'assistente sociale anonimo per eccellenza. Non una modalità di voce modificata, quaklche leggera enfatizzazione di sentimenti e poco altro. Elio Germano, nei panni di "quattroformaggi2, gioca la carta grottesca e fa paura per quanto manchi il colpo. Il giovane vincitore della Palma d'Oro a Cannes quest'anno (con "La nostra vita") crea un mostro innaturale, cercando un'identificazione macchiettistica ed impossibile a prescindere, se la si slega troppo da un contesto reale. Un film debole e poco curato.
Peccato. Peccato perchè Timi e il ragazzino Alvaro Caleca sono una coppia padre-figlio insolita in un film e hanno lavorato in modo complesso per raggiungere una'alchimia simbiotica sullo schermo. Peccato perchè Salvatores con Ammaniti ci va a pennello. Peccato perchè il libro è deflagrante. Peccato, semplicemente peccato. Questo film non funziona per nulla. Non è questione di imperfezione, è questione di riuscita. E il film, con l'eccezione del duo attoriale portante, è qualcosa non solo di trascurabile ma anche di evitabile. L'input c'è, è nel libro, la location potrebbe aiutare, ma si trasforma in un locus ameno funzionale quanto le scenografie di un interno, ovvero del tutto incapace di trasferire un messaggio che parta dal paesaggio e arrivi allo spettatore per purezza e verità. Accostare luoghi desolati e bui, cave e case diroccate propende per un'artificiosità maggiore. Il regista si assicura un certo viraggio cromatico, una certa atmosfera che puzzano di finzione a miglia di distanza. Due le cose imperdonabili. Una seconda parte ridicola, in cui non c'è nessun controllo nè di copione nè tecnico. E due attori completamente fuori parte. Fabio de Luigi è l'assistente sociale anonimo per eccellenza. Non una modalità di voce modificata, quaklche leggera enfatizzazione di sentimenti e poco altro. Elio Germano, nei panni di "quattroformaggi2, gioca la carta grottesca e fa paura per quanto manchi il colpo. Il giovane vincitore della Palma d'Oro a Cannes quest'anno (con "La nostra vita") crea un mostro innaturale, cercando un'identificazione macchiettistica ed impossibile a prescindere, se la si slega troppo da un contesto reale. Un film debole e poco curato.
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