Domenica si vota: elezioni in contemporanea per Nicaragua e Guatemala

Creato il 02 novembre 2011 da Eldorado

Sarà una domenica di elezioni in Centroamerica: il Nicaragua va alle urne per coronare un nuovo mandato di Daniel Ortega, mentre il Guatemala dovrà decidere chi tra Otto Pérez e Manuel Baldizón otterrà la presidenza.

L’ambiente in Nicaragua è quello ideale per assistere ad una vittoria di Daniel Ortega. Con un vantaggio di diciotto punti sul candidato liberale, Fabio Gadea (Partido Liberal Independiente), l’attuale presidente e leader del Frente Sandinista sembra approssimarsi alla meta della rielezione senza troppi problemi. Da giorni, la coppia presidenziale (Ortega si presenta sempre con la moglie factotum, Rosario Murillo) fa atto di presenza un poco ovunque, attitudine che contrasta con l’ermetismo che ha contrassegnato buona parte dell’attuale presidenza di Ortega. Anche ieri, in una cerimonia pubblica dal sapore elettorale, Ortega ha consegnato più di diecimila titoli di proprietà a famiglie bisognose che li aspettavano da più di dieci anni.

Insabbiate le polemiche sulla rielezione e di una Costituzione che si è prestata all’interpretazione personale di una norma, l’ottimismo pervade tutto lo staff presidenziale: l’organizzazione procede a gonfie vele e l’opposizione è divisa. É probabile infatti che Fabio Gadea e Arnoldo Alemán disperderanno il voto del centrodestra ed in generale del dissenso al sandinismo. Altri fattori giocano a favore di Ortega, come l’età di Gadea, che è prossimo a compiere ottanta anni e la mancanza del candidato liberale di un delineato carisma, un attributo necessario in un paese, come il Nicaragua, che si distingue per il caudillismo ed un sistema di comando di tipo paternalista. Mentre Alemán annaspa nelle maglie del suo ingombrante infangato passato e di promesse impresentabili (un milione di posti di lavoro: vi ricorda qualcuno?), la candidatura di Gadea è quella di un uomo che sì ha dedicato la sua vita ai valori democratici (prima opponendosi a Somoza e poi a Ortega), ma che arriva troppo tardi all’appuntamento decisivo della sua esistenza. 

Intanto, in barba ai reclami degli Stati Uniti, gli osservatori internazionali stanno giungendo regolarmente in Nicaragua per la supervisione del processo elettorale. La rimostranza Usa parte dal fatto che i diplomatici stranieri e le organizzazioni sociali locali sono stati esclusi dal processo elettorale. Ad essere accreditati sono stati invece un centinaio di osservatori dell’Unione Europea ed un’ottantina dell’Osa, l’organizzazione degli Stati americani. La decisione di aprire la contesa agli osservatori è stata senza dubbio una mossa vincente dell’amministrazione Ortega, che potrà così dimostrare al mondo la validità e la qualità della sua proposta democratica.

Lasciamo il Nicaragua. In Guatemala, l’ultimo sondaggio dá per vincitore del ballottaggio l’ex generale Otto Pérez: l’intenzione di voto lo attesta al 55,1%, contro il 44,9% del suo rivale Manuel Baldizón. Domenica saranno chiamati alle urne sette milioni e trecentomila elettori guatemaltechi, su cui aleggia però lo spettro dell’astensionismo. Baldizón ha il difficile compito di dimostrare che nulla è ancora deciso e di convincere quindi i votanti a sobbarcarsi un’altra domenica di code, magari sotto la pioggia. Per riuscirci le sta provando tutte, anche quella di raccomandarsi al Cristo nero di Esquipulas, dove è stato ieri.  

Pérez, 61 anni, candidato dell’estrema destra, è riuscito a rintuzzare con il tempo tutti gli attacchi dei suoi nemici, a cominciare dalle accuse di violare i diritti umani durante la sua epoca di militare attivo. Oltre alla proverbiale mano dura che ha promesso nella prima parte della campagna per combattere la criminalità e il narcotraffico, Pérez si è offerto di continuare i programmi sociali avviati dall’attuale presidente Álvaro Colom.

Baldizón, 41 anni, non si discosta molto dal suo avversario. Le proposte che ha presentato sono praticamente le stesse di Pérez, cambia solo l’approccio verso l’elettorato, diretto e populista. Per i guatemaltechi, insomma, a parte il nome del prossimo presidente –il settimo dalla fine delle ostilità- c’è poco da scegliere.


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