Pubblicato da lapoesiaelospirito su gennaio 3, 2012
di Guido Michelone
Occorrono tempo e pazienza per leggere attentamente le 452 pagine di questo nuovo libro di Domenico Starnone, il diciottesimo ufficiale in ventiquattro anni di pubblicazioni tra la narrativa e la saggistica: e anche quest’ultimo è un testo anomalo, a metà fra i due generi, pur con forti tinte autobiografiche come si evince sin dal titolo, che fornisce anche una seconda fondamentale chiave di lettura. Intanto va subito detto che il volume si compone di quattro opere diverse, di cui solo alla fine si comprendono gli stretti legami e le motivazioni profonde che rimandano a loro volta al tentativo di proporre inedite forme di riflessioni autorevoli sulla scrittura, sulla narrativa, sul linguaggio, sulla dialettica fiction/realtà. La prima parte Una vecchia amica di Ferrara racconta di come il protagonista – Aristide Gambia detto Ari, cinquantottenne scrittore e dirigente editorale che vive a Roma, ma che vanta origini partenopee – ritrova dopo una trentina d’anni Mariella Ruiz, amante di un sol giorno all’epoca e ora difficile conquista in un gioco mentale quasi sadomasochistico per entrambi. Nella seconda parte La bella compagnia delle donne a un convegno Ari perde in giardino un quaderno di appunti che viene ritrovato da una giovane bella collega, Madga, che lo legge e rilegge curiosa di scoprire, come dice il titolo, un’autobiografia erotica dove vita politica e familiare, s’intrecciano a rapporti sessuali descritti freddamente senza mezzi termini, dove però il distacco critico è così saldo da evitare morbosità o pornografia; ma questa che è la parte più lunga (250 pagine in tre grossi capitoli) da un lato scorre infatti quasi mezzo secolo di storia italica, dall’altro ondeggiano i reciproci desideri (inevasi) di Ari e di Magda di conoscersi l’un l’altra, per ragioni tanto opposte quanto complementari. La terza parte brevissima, Mia madre, è il tentativo di immaginare una nuova opera partendo da una fotografia della madre da giovane, mentre la quarta e ultima Le irrintracciabili inscena in fondo la spiegazione di quanto svolto prima, quasi una sorta di metaletteratura o postilla dove l’Autore tenta di illustrare la complessità della trama e dell’intreccio con la frammentarietà dovuta a una stesura prottatasi per anni appunto su tre diversi libri, oggi poi riuniti. E in effetti ciò che colpisce maggiormente di questa Autobiografia erotica di Aristide Gambia è l’identità autoreferenziale giostrata sul ruolo che spetta a una prosa che non vuole essere banale o scontata, pur evitando gli ermetismi della pura avanguardia. Ma colpisce, fra piacere fisico e tran tran quotidiano, anche il recupero (benché in negativo) del rapporto sesso/politica, dove emerge il ritratto di un uomo di sinistra atavicamente prigioniero di oscurantistici pregiudizi e alla fine di un acceso maschilismo nei confronti della figura femminile; è qualcosa di cui il protagonista (o l’Autore) sembra non rendersene conto o volerne limitarne l’analisi e la consapevolezza, per lamentarsi piuttosto sulla caducità dell’essere quale conseguenza della vecchiaia, in un persistente atteggiamento di filosofia materialista che evita di interrogarsi sul senso della vita.
Domenico Starnone, Autobiografia erotica di Aristide Gambia, Einaudi 2011.