Altro che S.P.Q.R.! S.P.Q.J., semmai: Sono Pazzi Questi Jap!
Dopo il concerto eravamo invitati alla cena sociale del coro. Credo fossimo non più di quattro italiani in una comitiva di oltre cinquanta nipponici, quasi nessuno dei quali parlava una lingua diversa dalla loro.
Inclusa la nostra amica, che ha ormai abbandonato da così tanti anni l'Europa, che quel poco di inglese e di tedesco che le avevano regalato i tanti mesi trascorsi al seguito del marito, resident engineer in Germania, si è quasi definitamente perduto.
Se non fosse stato così tremendamente faticoso, sarebbe stato anche comico: cercare di raccontarsi anni di crescita delle figlie, i nuovi lavori dei mariti, la situazione del dopo terremoto con un vocabolario di poche centinaia di parole. Per fortuna le foto (avete mai visto un giapponese senza macchina fotografica? appunto) sono venute in aiuto là dove la parola mancava.
In compenso, eravamo al tavolo con una Hakiko, una Hamiko, una Kimiko, una Hemiko. E quando hanno chiesto il nome di G. hanno esclamato in coro "Gianni Schicchi!", intonando subito dopo "O mio babbino caro", seguite dalle amiche del tavolo a fianco.
E comunque è vero: la ritualità è cosa loro. A partire dall'ossessione maniacale con cui la responsabile del gruppo dirottava i camerieri subito al tavolo del Direttore d'orchestra, alla sequenza di discorsi di ringraziamento che si sono susseguiti per tutta la serata, in un crescendo di rango.
Noi, come i pinguini di Madagascar, abbiamo sorriso e annuito per tutto il tempo. Ci siamo inchinati tutte le volte che ci voleva e forse qualcuna in più. Ci siamo profusi in duemila Arigato e Domo Arigato. Abbiamo posato in tutte le foto in cui siamo stati richiesti e ci siamo prodotti diligentemente nel Sanbon Jime, come fossimo nativi di Osaka.
Cosa chiederci di più?