Ho letto e sentito in poche ore il ronzio di mosche cocchiere, in questo caso con livrea funebre, che parlano di don Gallo come di un anticipatore di papa Francesco. La sua vicinanza concreta agli ultimi, pare infatti alle distratte cronistorie di questo Paese, sovrapponibile al pauperismo, finora puramente predicato più che praticato, del pontefice. Ma invece non c’è nulla di più diverso: don Gallo era vicino agli ultimi, ma perché considerava un’ ingiustizia che lo fossero, perché combatteva contro i meccanismi sociali che creano emarginazione e povertà. Nulla di tutto questo è rintracciabile dalle parti del vaticano dove ci si guarda bene dal puntare il dito sulla società della disuguaglianza, ma si parla di povertà come di una sofferenza da offrire a Dio. Si tratta – se è possibile fare paralleli letterari – di una sorta di estetismo omelistico.
E’ vero, don Gallo sperava che il nuovo Pontefice potesse risvegliare una chiesa dormiente, lontana dal Concilio e alle prese con i suoi incubi. Ma nel senso che la speranza è un dovere della carità, qualcosa che non si può negare a priori. Aveva sperato anche con Ratzinger, pensando che forse avrebbe potuto affrontare il male oscuro della Chiesa, il potere, il denaro che guidano tanti atti e tanti silenzi. Si è dovuto arrendere alla Curia, ma anche al suo stesso conservatorismo con le dimissioni. Francesco primo però sembra navigare su altre acque, quelle che considerano la povertà e le tante ferite alla dignità come inevitabili, come cose del mondo sulle quali si può intervenire solo a margine, come un grande turibolo di tribolazione a maggior gloria di Dio. Il prete di strada però sembrava molto lontano da tutto questo e in un’ intervista di circa un anno fa aveva detto: ”Ci sono due strade: sembrano simili, in realtà vanno in direzioni opposte. La gerarchia ecclesiastica e alcuni settori del mondo cattolico propongono una solidarietà che ha degli aspetti positivi ma che si limita all’assistenzialismo, e in questo modo conferma, anzi rafforza, il sistema economico dominante di sfruttamento, il neocolonialismo sui diseredati del mondo”.
Povero don Gallo che sperava nel ritorno dello spirito conciliare e della chiesa di Dio Probabilmente si è evitato l’ultima delusione nascosta dietro le buone intenzioni e le belle parole. E’ questo è già un dono di dio.