“Stasera voglio stare un po’ con te, Elisa. Mi fermo, qui, in un angolo; cercherò di non svegliarti dal tuo sonno. Ma lì fuori c’è troppo chiasso, e io ho bisogno di silenzio. Da quando sei stata ritrovata, fiumi di parole ci stanno inondando; ma non per mancarti di rispetto - credimi -, è che l’indignazione è davvero tanta, la rabbia enorme e la sofferenza ci sta lacerando. Il fatto stesso di averti trovata lì, a due passi da tutti, in una chiesa, è stato devastante. Tu comprenderai senz’altro quelli che ne hanno chiesto subito la sconsacrazione: per molti quella chiesa è solo un freddo sepolcro, lo squallido buco nero che ti ha sepolto in tutti questi anni. Un macabro simbolo, insomma, di una vita profanata ingiustamente. Ma capirai anche quanti si sono opposti energicamente a quell’idea; per molti quella chiesa, ogni chiesa - da quella al centro di una città all’ultima di periferia -, è crocevia del Cielo con la terra, luogo nel quale l’Invisibile diventa visibile, ma anche scrigno dei ricordi legati a tante tappe importanti della propria vita. Una contrapposizione che sicuramente ti avrà fatto tanto male. La stessa amarezza, forse, che provi ogniqualvolta qualcuno tra noi non riesce a fermarsi sulla soglia del dolore dei tuoi familiari. Terra sacra, quel dolore, che troppe volte abbiamo calpestato senza “toglierci i calzari”, come invece ci invita a fare una delle pagine più seducenti della Bibbia. Perdonaci: abbiamo dimenticato che il dolore non è materia su cui dissertare con mille paroloni, ma una cattedra alle cui lezioni si partecipa in profondo silenzio. La verità è che quando il dolore ti penetra come lama affilata, resti spiazzato, i passi si fanno incerti e si va avanti confusi. Non ti nascondo, però, che è un altro il macigno che maggiormente pesa sul mio cuore, e cioè che qualcuno dei miei confratelli abbia potuto avere un ruolo, un qualunque ruolo, non solo all’inizio ma anche alla fine di questa triste storia. La sola idea mi divora l’anima e il più lontano sospetto è sufficiente a straziarmi il cuore. Ma la verità prima di tutto. Lo abbiamo detto dall’inizio: tutta la verità, qualunque essa sia, a qualunque costo, qualunque abito indossi. E ti assicuro, Elisa, ogni giorno incontro tanti preti e laici affamati e assetati proprio di questa verità.
Si è fatto tardi. Vorrei dirti tante altre cose; vorrei parlarti della solitudine della tua famiglia in questi lunghi 17 anni, delle troppe porte chiuse in faccia a tua mamma, di quante volte ci siamo ritrovati in cinque a ricordarti in teatri tristemente vuoti, di chi pensa che è sufficiente dar conto a Dio piuttosto che agli uomini, dei sapientoni che di questa storia hanno già capito tutto, di chi continua a muoversi nell’ombra perché alla fine a pagare sia solo uno per tutti, e di quanti hanno perso il sonno della propria impunità perché ormai ti credevano solo un nome senza un corpo. Ma mi fermo qui. Chiudo gli occhi. Dinanzi a me vedo il volto silenzioso di Luciano, le lacrime nascoste di tuo papà, la fiera dignità di tua mamma, l’animo straziato di Gildo, e i volti vivaci di quei tantissimi giovani che nel tuo nome stanno dipingendo i primi giorni di questa primavera con i colori belli di quell’arcobaleno che si porta dentro chi ha quell’età. Non ci far caso, Elisa, se questi giovani a volte vengono giudicati impietosamente dai soliti depositari della verità: noi lo sappiamo che di quell’arcobaleno, invece, ne abbiamo bisogno tutti, la nostra città come la nostra Chiesa”. don MARCELLO COZZI
Associazione LIBERA Basilicata