Don’t cry for me Argentina! (intervista sul default nazionale del 2001 – 1a parte)

Da Robertopesce

Mercedes Viola, argentina, mental coach

Chiedo anticipatamente perdono per il titolo dell’articolo abbastanza scontato ma la tentazione era irresistibile visto il tema e la protagonista in oggetto ^_^.

Dato il momento così teso sui mercati internazionali e il tanto parlare che si fa (magari qualche volta anche un pò a sproposito o comunque con buone esagerazioni) di “default” nazionali, dalla Grecia alla Spagna, dagli USA all’Italia, prendendo spunto da un suo intervento tra i commenti del mio articolo “Il Governo Berlusconi verso le dimissioni e il panico sui mercati … c’è da fidarsi dell’Italia?”, ho pensato di proporre un’ intervista a MERCEDES VIOLA, persona che conosco e apprezzo sia per la propria attività di Mental Coach che a livello personale, chiedendole cosa abbia significato per lei e per i suoi connazionali il default del proprio paese che, lo ricordo, è avvenuto nel 2001 ed è ad oggi il più importante crack a livello di economia nazionale avvenuto negli ultimi decenni.

Mercedes è argentina di nascita ma da qualche anno italiana di adozione e ritengo ne sia saltata fuori una chiacchierata in due puntate interessante e originale sulla quale ognuno di noi potrà fare le proprie riflessioni.

Come sempre, sono graditi i COMMENTI all’articolo così come eventuali domande da porre a Mercedes o al sottoscritto.

Ciao Mercedes, ed innanzi tutto grazie per aver accettato di dare il tuo contributo al blog attrvaerso questa intervista. Prima di chiederti del tema in questione, dicci magari qualcosa di te.

Ciao Roberto, grazie a te per darmi la possibilità di riflettere su questo argomento. Di me posso dirvi che da sette anni sono in Italia, arrivata e rimasta per amore, e intorno mi sono ricostruita una vita che mi piace da morire. In Argentina sono rimasti gli amici, la famiglia, e i tantissimi ricordi che mi scaldano il cuore. Sono mamma di due figlie meravigliose, faccio il mio lavoro da coach/amministratore in un centro medico e tra le mie passioni ci sono in primis la lettura, la scrittura e la cucina. I difetti te li racconto un altro giorno.

Veniamo adesso all’argomento “default Argentina”, parliamo degli anni 2000-2002 , tu quanti anni avevi all’epoca e cosa facevi in Argentina?

Nel 2000 avevo ventitré anni, e da quando avevo diciotto abitavo in Cordoba detta “la dotta”, la seconda città Argentina dopo Buenos Aires (anche se i Rosarinos diranno che è la terza), dove mi ero trasferita per studiare Psicologia in una università pubblica. A vent’anni mi sono cercata un lavoro, volevo sperimentare e non dover dipendere e gravare completamente sui miei. Quindi nel 2000 ero al terzo anno di psicologia e lavoravo in una biglietteria all’interno della stazione dei pullman, mezzo principale di trasporto in Argentina.

Lo stipendio mi ricordo era di 450 pesos, 9 ore al giorno per 21 giorni al mese. Il mio stipendio era basso in confronto ad altri che facevano qualche centinaia in più, perchè lavoravo per una delle pochissime aziende che non erano state assorbite dalle grandi compagnie con capitali di origine… diverso diciamo (dico “era”, perchè ha ceduto l’anno scorso), e queste aziende non avevano mai le risorse necessarie per far fronte alla concorrenza.

Una cosa che ricordo riguardo i prezzi delle cose di quel’epoca, dal ’97 al 2000, e che andavo al supermercato e la mia sfida da studentessa era comprare con 20 pesos, 20 articoli e tra quelli sotto 1 peso, e quelli in offerta, ci riuscivo sempre (per la cronaca, oggi con 20 pesos compri si e no una confezione di caffè da mezzo kilo.

Quali sono i tuoi ricordi di quei momenti?

A quell’epoca avevamo nel gruppo di amici dei ragazzi americani. Ricordo che nella commozione dell’11 settembre 2001, uno di loro mi chiese: “Tu daresti la vita per il tuo paese?”

In quel momento mi è sembrò una domanda proprio stupida. Mi chiedevo in quale paese avresti dovuto nascere per chiederti se dargli o meno la vita. Uno stato che ha ammazzato studenti, che poi ha lasciato il paese per metà povero con l’iperinflazione, che poi ha creato una situazione di fantascienza con la parità 1 a 1 col dollaro e ha fatto indebbitare tutti, spendendo sempre meno in cultura, educazione, nutrendo il maschilismo, un paese che ha tutta la terra e acqua immaginabili ma che ha bambini che muoiono di fame nelle province del nord, per poi tentare il riscatto con un presidente non in grado, che è scappato in elicottero, passato il quale ne arrivarono altri 4 in un mese.

Altro che la vita, io per “il paese” non avrei dato neanche due minuti di apnea.

In Argentina si è patrioti, ci si identifica con gli argentini, con il tango, la amizia, la convivialità, il dulce de leche, le squadre di calcio, il mate, ma per carità amico americano, nessuno si beve la storia “del nostro paese” inteso come stato.

Questo sentivo anche se il 2000 era un po’ l’anno della possibile rinascita. Il governo de De La Rua era un fidanzato bravino, studioso, con una famiglia normale, dopo un bastardo che ce ne aveva fatte di ogni (e in questo caso era anche brutto), perché nel 1999 finiva la decade Menemista, decade nella quale di colpo tutti potevano comprare tutto, carte di credito a go go con interessi altissimi, tutto si poteva pagare in comode, piccole, ed eterne rate. Tutto. Le carte di credito davano automaticamente questa possibilità ad ogni acquisto.

Ma le aspettative non si sono realizzate, ricordo particolarmente quel giorno dei primi dicembre 2001.

Ero a Buenos Aires con degli amici, dico: “Aspettatemi che devo prelevare”. Striscio la mia carta, non si apre la cabina. Strisciano i miei amici, niente. E così abbiamo fatto per ancora quattro altri bancomat, senza ancora capire cosa succedeva. Era il corralito: nessuno poteva accedere ai suoi conti correnti. Questa situazione fece si che il fidanzato bravino dell’Argentina, che non aveva mai avuto una leadership invidiabile, scappasse in elicottero dalla Casa Rosada a suon di migliaia di persone sotto il moto di: “Que se vayan todos” (“Che se ne vadano tutti”).

Naturalmente un crack di un’economia nazionale non avviene dall’oggi al domani, che ricordi hai degli anni e dei mesi precedenti al default? Quali sono stati i “segnali” di avvicinamento? E quali sono state le scelte dei politici e dei governi argentini dell’epoca (dicci anche se a tuo parere giuste o sbagliate e se a tuo parere la situazione avrebbe potuto o dovuto andare diversamente)?

Scusa se vado troppo indietro, ma bisogna dire che Menen arrivò dopo Alfonsín, primo governo democratico dopo una lunga e cruenta dittatura.

Alfonsín era radical (l’opposto ai Peronistas, per intenderci), ed era una figura rassicurante. Di quel governo ricordo l’emozione generale quando è salito nel 1984 e l’iperinflazione del ’89. Quelli sono stati momenti di follia, altro che crisi.

In questione di minuti salivano a dismisura i prezzi, nel supermercato c’erano persone che cambiavano i bollini degli articoli senza soluzione di continuità, c’erano code infinite per fare benzina; la gente appena aveva soldi in mano correva a comprare da mangiare, perchè sapeva che con quei soldi il giorno dopo avrebbero comprato metà delle cose, e qualche giorno dopo ancora di meno, e così via.

Io avevo 11 anni e me lo ricordo perfettamente. Ma ancora in quel momento non c’era la povertà e l’insicurezza che c’è oggi, e c’era tanto aiuto condivisione tra le persone, era tutto tranne una epoca di solitudine. Questo per dire che la decada menemista penso sia stata lo sfogo, la compensazione.

Ci stavano vendendo una bugia, ma tanti avevano bisogno di credere, e a pochi conveniva veramente: imprese edilizie, multinazionali, ed altri pochi con le amicizie giuste.

Con il governo di Menen c’è stato un nuovo cambiamento di moneta. Alfonsin aveva ricevuto dalla dittatura il Pesos Ley, introdotto l’Austral, e Menem tolse tutti gli zeri passando al Peso Argentino in parità col dollaro, declassando stipendi ma dando credito.

L’Argentina, almeno da quando io sono nata, è sempre stata in crisi, in un modo o in un altro. E quindi mi chiedo perché conta tanto la crisi del 2001?

Perchè ha messo le mani in tasca alla classe media, medio alta, e agli investitori che come in Italia hanno preso i bond argentini. Oppure perché ha personalizzato, ha fatto realtà la paura di tanti altri stati indebitati.

La verità e che io non ricordo che il default fosse stato una “morte annunciata”. Per me è stato imprevisto ma non soprendente.

Sarà che quando non si è uno studioso nella materia tutto si vede molto semplice: “Hai tanti debiti, o li paghi, o fallisci, o qualcuno che ha qualcosa di molto grande (e forse poco lecito) da chiederti in cambio li paga per te”.

Ero al lavoro quando una sera ho iniziato a sentire il rumore delle pentole che veniva dall’esterno. Era da tempo che la classe media-bassa, i “piqueteros” si stava mobilitando, facevano tardi per la strada, chiedevano lavoro, stipendi giusti, e la classe media sbuffava contro questi qui che li facevano arrivare tardi al lavoro.

Ma il giorno che hanno toccato i loro risparmi hanno (abbiamo?) capito cosa significa perdere, essere tra quelli danneggiati, senza rendersi conto del fatto che era una conseguenza logica di tutta la situazione.

Come si può pensare che si può vivere a lungo tranquillo nella tua stanza abbracciato al tuo panino, con tutta la casa piena di gente affamata?

Sembra un po’ demagogico come discorso, ma mi appare anche così logico.

(fine prima parte, segue in un prossimo articolo)

Roberto Pesce


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