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Don Tonino scopritore di stelle: La chiesa deve schierarsi con gli ultimi

Creato il 29 dicembre 2010 da Cultura Salentina
Don Tonino Bello

Don Tonino Bello

Don Tonino, l’ex pretino direttore del Seminario di Ugento che giocava a pallavolo, mettendosi sempre con la squadra perdente, agitando le bandiere di stracci colorati dei vinti, anziché i lucidi gagliardetti dei dominatori; Don Tonino, l’ex parroco di Tricase che suonava la fisarmonica nelle feste patronali, che giocava al calcio con i ragazzi dell’oratorio, su campi sassosi e impolverati, (era ala destra, il Garrincha con la tonaca), ma con lo sguardo sempre attento agli afflitti, ai poveri, ai diseredati; Tonino, il pretino della porta accanto — uno di noi — che ti parlava con la luce negli occhi e il sorriso aperto disteso buono, ostinato testardo testimone della gioia, che conquistò tutti, giovani vecchi donne bambini tiepidi e bollenti, credenti e non, parroci di campagna e cardinali, perfino il Papa che infatti lo volle fare vescovo a tutti i costi, nonostante lui non ne volesse sapere (per umiltà, ovviamente) e come tale invece conquistò… quasi tutti; tutti tranne i preti (sic!), i “suoi” preti che lo ostacolarono, lo avversarono, lo calunniarono, si mutarono in zelanti delatori, pur di mandarlo via da quella diocesi che gli era stata affidata, ma, intendiamoci, probabilmente sarebbe stata la stessa cosa  in altre diocesi, perché il pretino di Alessano era un uomo che pretendeva di applicare il vangelo alla lettera (date da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, una casa agli sfrattati, visitate gli infermi, i carcerati, ecc.) .

Avrebbe comunque trovato ostacoli sul suo cammino, perché la Chiesa non sempre manifestava, come lui, la “grande passione per l’uomo”, anzi spesso s’attardava all’interno delle sue tende, dove non giungeva il grido dei poveri, o si manteneva prudenzialmente al coperto, andando a braccetto con i primi piuttosto che gli ultimi, sedotta dalle sirene della politica o dalle manovre di accaparramento dei potenti. La Chiesa anziché mettersi in cammino, cercava una buona sistemazione, si trincerava dietro le sue apparenti sicurezze e non aveva il coraggio del pretino di Alessano, di uscire dai propri accampamenti, di schierarsi apertamente con gli ultimi i deboli i calpestati i diseredati i sofferenti i malati i morti di fame i ladri le prostitute, gli ubriaconi, i tossici, come palesemente faceva don Tonino.

La Chiesa era spesso pavidamente neutrale, o addirittura sorda e indifferente di fronte alle ingiustizie e a chi le compie. Gli unici che continuarono ad apprezzarlo, ad ammirarlo, ad amarlo incondizionatamente furono i preti impegnati, sensibili, intelligenti e coraggiosi come  lui, in specie Turoldo ( un poeta) e Riboldi ( un vero e proprio guerriero di Cristo), preti disposti a tutto pur di difendere i deboli, i poveri, gli ultimi, – tutta quella fiumana di gente che era stata conquistata da Tonino, dai suoi occhi buoni chiari trasparenti, dal suo volto luminoso sempre proteso verso l’interlocutore, dalla sue parole di rara chiarezza bellezza e semplicità che rivelavano la presenza di un uomo eccezionale, di un profeta, di un santo.

Non fate che la mia opera ricada su se medesima.

E’ tutto questo lo disse a chiare note l’allora vescovo di Acerra, alto, bello, vigoroso, una figura carismatica, un templare con la croce sul petto anziché la spada, che parlò senza ambiguità, senza mezza misure, con estrema semplicità, oserei dire con simpatia bonaria, ma anche con quella volontà, determinazione, energia e fermezza di carattere che hanno i veri pastori d’anime, i preti fieri di riscoprirsi coscienza critica delle strutture di peccato che schiacciano gli indifesi, i deboli, i poveri del mondo.

Era uno spettacolo, un lenimento dell’animo sentirlo parlare, ed io ero lì, come moltissimi altri venuti da tutte le parti del Salento, a bearmi delle parole di quest’uomo grande e straordinario (avevo fatto un po’ da staffetta al vescovo di Acerra, intrattenendo i convenuti con i miei “Dialoghi con don Tonino” e poi avrei scritto, un anno dopo, un recital dal titolo emblematico: “Aspettando don Tonino”), e ogni tanto scrutavo la porta d’ingresso dell’Auditorium, dove c’era la scorta armata, gente in divisa che rischia la pelle ad ogni momento, né più ne meno come lui — il vescovo antimafia — per milleduecento euro al mese.

Riboldi era venuto a ricordare l’amico Tonino, a raccontare aneddoti, deliziosi, divertenti, illuminanti sulla figura del pretino di Alessano. Una volta si trovarono entrambi a Milano e non avevano di che vestirsi per andare a far visita all’arcivescovo Martini e Riboldi rimediò, nella sua casa milanese, qualcosa di simile ad un abito talare, ma non era sufficiente, alla fine sembravano più due comparse di Cinecittà che due vescovi. Ma il cardinale Martini era uomo di spirito e capì.

Era venuto qui – questo grande vescovo lombardo, che decise tanti anni fa di sposare la causa meridionale per amore, solo per amore, nient’altro che per amore — per dirci che Tonino era uno scopritore di stelle, uno che sapeva vederle anche quando il cielo è nuvoloso, oppure non brillano perché nascoste, riusciva a scoprirle nei luoghi più impensati, là dove nessuno di noi le potrà mai trovarle; uno che sapeva scoprire stelle anche sulla terra, in mezzo al fango, tra gli ubriaconi, le prostitute, i ladri e i malfattori, i drogati, i carcerati.

Ma Don Riboldi era venuto anche a scuoterci, a dirci che non dobbiamo rimanere inchiodati fatalmente, come è stato per secoli e secoli, alla croce e subire soprusi, ingiustizie, violenze e ogni altra ignominia; era venuto a dirci che è ora anche per noi di togliere i chiodi, perché non sono più necessari, non dobbiamo aver paura di come toglierli questi chiodi, basta fare il primo passo. Ma non aspettiamo che qualcuno venga a toglierli, quello è l’errore esiziale. I chiodi dobbiamo toglierceli da soli. Lui era venuto a dimostrare che si possono levare quei chiodi di ignoranza, paura, omertà, però noi dobbiamo schiodarci da soli. Ecco, tutto ciò era venuto a ricordarci Mons. Antonio Riboldi, con la sua aitante presenza:

Io dico il Padre Nostro e dicendo il Padre Nostro voglio dire tutta la mia libertà. Ditelo con me, se ne avete coraggio.

Tonino lo gridava il Padre Nostro e si commuoveva ed era ebbro di libertà. Lui ne aveva, e di grande, immenso, infinito, di coraggio. Era uno di voi, popolo di formiche, gente umile laboriosa e fiera, ed è ancora in mezzo a voi, sta qui dove il dolore per secoli e secoli è stato una lunga nottata che non passava mai, una stagione delle piogge senza fine e scorreva, continuamente, senza interruzione, come oggi scorre in tutte le popolazioni del terzo quarto o quinto mondo, sta qui per ascoltare le vostre richieste, sorreggere la vostra fede che vacilla.

Io sono venuto nel mondo con la mia anima nuda a portare lo spirito e il fuoco, per volontà di Dio.Non fate che la mia opera ricada su me medesima  e diventi vaniloquio, o polvere che il vento disperde.

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