C'è il dolore di una terra che sanguina generando povertà. Il tempo è nemico dell'amore e sottrae al focolare della casa la madre, restituendole un corpo atto a procreare ma privo della capacità di amare. Ma questo Esperia non lo sa, gli anni le stanno rubando i ricordi di una vita intera ed è quindi compito della figlia prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la loro storia.
"Ti chiami Esperia Viola, detta Esperina. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoqurantadue..." ha così inizio la storia di Esperia e la figlia, due donne che si sono sempre cercate, rincorse e mai realmente incontrate. Eppure il destino ha voluto congiungerle in un momento in cui Esperia ha dimenticato quasi tutto il loro passato, persino la sua infanzia, così faticosa in un paese dell'Abruzzo dove anche l'acqua e la luce sembrano un'utopia.
Esperia mi ricorda un grande lago in cui la figlia si abbandona, forse per l'ultima volta, grattando con le unghie e con i denti quell'ultimo barlume di speranze e di sicurezze che solo una madre può dare. Rievocare la loro storia aiuta soprattutto la figlia a fare un bilancio della loro vita insieme, a non dimenticare che non è mai troppo tardi per riprendere dal principio. Scritto in: Abruzzo, Cesare Pavese, Donatella Di Pietrantonio, Elliot edizioni, libri, Mia madre è un fiume, narrativa italiana, recensione, Sara Durantini Invia tramite email Postalo sul blog Condividi su Twitter Condividi su Facebook