Donna che lavora o donna mamma?

Creato il 31 luglio 2012 da Cortese_m @cortese_m

Se una donna decide di diventare mamma deve essere pronta a tutto.

L'Italia è una Paese un po' particolare, adorabile e invidiato, ma anche difficile da vivere, dove anche il mondo del lavoro è in trasformazione perenne – come peraltro nel mondo interno – in crisi epocale, ma questa è un'altra storia.

Nel mondo del lavoro italiano una donna che decide di avere un figlio, ma anche quella che lo riceve in dono senza troppo averlo cercato, deve prepararsi a lottare e spesso a uscire sconfitta dalla lotta...
E sì, perché dal giorno in cui comunica al proprio datore di lavoro la sua nuova e irreversibile condizione, troppo spesso la sua vita lavorativa cambia radicalmente, subisce deviazioni, battute d'arresto e a volte viene troncata.
E il suo rientro a lavoro dopo la maternità molto spesso diventa un vero e proprio incubo, atteggiamenti di distacco da parte dei superiori e talvolta dei colleghi, la propria attività lavorativa che è stata assegnata a qualche collega – più o meno contiguo a certi comportamenti ostili da parte dell’Azienda – quando non addirittura una vera e propria assenza fisica del suo precedente posto di lavoro.

Le statistiche e i dati a tutti noti parlano chiaro, le donne nel mondo del lavoro sono penalizzate, incontrano maggiori difficoltà degli uomini, guadagnano meno a parità di lavoro, e impiegano più tempo per arrivare in certi posti rispetto al tempo medio impiegato da un uomo, ma non è tutto perchè c’è la maternità che in certi casi diventa un macigno enorme, una sorta di nota di demerito scritta in grassetto sul proprio Curriculum lavorativo, sulla propria scheda personale aziendale.

Non credo che nessuno troverà mai un datore di lavoro o un imprenditore pronto ad ammetterlo, ma allora chi sono quelli che mettono in campo queste politiche?Forse è tutta fantasia? Mah...

Eppure la nostra quotidianità è piena di storie di ogni genere, donne costrette a firmare dimissioni in bianco, a firmare demansionamenti, messe in un angolo senza più una scrivania e trattate da lebbrose, le quali talvolta – psicologicamente fiaccate da una tal condizione –decidono di loro "spintanea" volontà di dimettersi, di lasciare il lavoro non essendo più in grado di sopportare angherie di ogni tipo.

I Sindacati fanno quello che possono, ma è troppo poco...

Credo che sperare che chi mette in campo queste pratiche smetta, che venga illuminato e cambi rotta, che le imprese si “umanizzino” sia come credere che esiste davvero Babbo Natale, chi ha una certa esperienza di vita e/o aziendale lo sa.

Senza un impegno vero di quelle organizzazioni che rappresentato le Aziende, senza un impegno concreto di chi può incidere su questi comportamenti dall’interno, senza un impegno concreto per scardinare questo SISTEMA malvagio, non credo che sia possibile uscire da un tunnel che di umano non ha proprio nulla.

E’ un problema di civiltà, che evidentemente nel nostro mondo del lavoro stenta ancora a far sentire la sua presenza, dobbiamo quindi sperare che chi ha gli strumenti per far cambiare questo squallido SISTEMA ci trovi dei vantaggi e degli interessi, in caso contrario nessuno probabilmente porterà mai avanti questo cambiamento.

Mi auguro di avere la possibilità a breve di portare qualche testimonianza dal campo, qualche esempio raccontato dalle sfortunate protagoniste, dalle donne che lavorano, le sorelle, le mamme, le figlie, le mogli, di tutti noi.

nanni


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