Nel buio della stanza, una candela illuminava un angolo, unico riferimento di quello spazio solitario e silenzioso. Nel buio della stanza, un lenzuolo viola avvolgeva il corpo nudo e bianco, perso e annegato in un ricordo di piacere. Nel buio della stanza, giaceva il cadavere senza vita stremato dal piacere concesso.
Nel buio della stanza si perdevano i rumori, le sensazioni e le memorie di Eros e Thanatos. Dei onnipotenti, amanti e nemici.
Ma cosa era accaduto? Quale funesto agire errante e perso aveva portato a quella sospensione temporale senza via d’uscita?
Lei era arrivata alle 10:30, sempre in anticipo sulla vittima. Ne aveva previsto movimenti e parole.
Ne attendeva l’arrivo, il tempo che gli avrebbe dedicato per fare di ogni suo lineamento il tratto emergente dalla sua mano, impresso sulla tela. Aveva sistemato il cavalletto, la tavolozza e scelto i colori più adattati. Poi, aveva steso sul letto uno ad uno i suoi vestiti, si era sfilata il foulard blu che aveva intorno al collo, sbottonato uno ad uno i bottoni della camicetta e aperta la lampo della gonna. Mentre questa scivolò ai suoi piedi, Mark arrivò e poté sentire il rumore dei tacchi che si avvicinavano, mentre lei gli andava incontro con passo deciso e sensuale.
I patti prevedevano solo silenzio. Ma Mark non riusciva a non cedere alla voglia di tradurre in voce quello che provava.
Lui si era abbandonato fiducioso, lasciandosi frugare fuori e dentro l’anima. La sfidava con i suoi occhi verde rame. Lei aveva dovuto rispondere alla provocazione, farlo suo per averlo prigioniero per sempre. L’ispirazione nasceva dal corpo e si propagava alla mente.
Nel caos delle sensazioni i due si persero e uno di loro non si sarebbe mai più ritrovato. Mark la stringeva a sé mentre lei avrebbe voluto ucciderlo in quel momento. Rabbia. Desiderio. Sollevò un braccio e tirò su la corda che stringeva tra le mani, lui non si accorse di nulla. Lei mise la corda in tensione e poi la portò al collo di Mark. Strinse. Strinse con tutta la forza che aveva. Forte, più forte ancora. Mark cercò di liberarsi, si divincolava. Il nero era l’unica cosa che vedevano i suoi occhi mentre perdeva ossigeno, mentre il cuore cedeva. La donna sentì quel corpo scivolare sotto di lei fino a cadere sul pavimento portandosi dietro il lenzuolo.
Solo così aveva potuto dipingerlo. Non esisteva più. Era suo. Nella sua mente, nella sua arte. Solo la tela imprigionava la vita di Mark e chi era stato.
Un altro quadro fu completato, opera da aggiungere alle altre. Mark sarebbe stato incoronato da una cornice che lei avrebbe scelto il prima possibile. Ora la tela era nell’angolo ma era già previsto un posto speciale tra le altre.
Quando lei si svegliò, fissò la sua opera, sarebbe rimasta ancora un altro po’ a letto. Nel buio della stanza i suoi occhi erano accesi. Nel buio della stanza il corpo di Mark era segnato dai lividi scuri al collo. Nel buio della stanza si era sfogato l’eterno tormento dell’anima, ora in sosta prima della prossima opera d’arte da compiere.
Archiviato in:scrivere