SAN SALVADOR (EL SALVADOR) – Glenda Xiomara Cruz una ragazza di 19 anni di El Salvador è stata condannata a 10 anni di carcere per aver abortito spontaneamente. La condanna però sembrerebbe essere nata da un fraintendimento. Il maggio del 2012, Glenda fece un test per la gravidanza che diede risultato negativo e il suo corpo nei mesi successive non le sembrò cambiare molto.
Tuttavia, a ottobre dello stesso anno Glenda soffrì di dolori addominali e subì perdite copiose di sangue. Arrivata all’ospedale più vicino, lo staff le spiega che aveva perso il figlio che aveva in grembo e che l’avevano denunciata alla polizia con l’accusa di aver abortito da sola a casa.
Quattro giorni dopo la denuncia, la polizia di El Salvador l’ha accusata di omicidio aggravato per aver “intenzionalmente assassinato un feto di 38-42 settimane.” Il mese scorso Glenda è stata ritenuta colpevole del fatto e passerà i prossimi dieci anni della sua vita in carcere. La sua colpa? Non aver “salvato la vita del bambino.”
El Salvador è un paese non nuovo a queste condanne. Nel sistema giudiziario esiste “una presunzione di colpevolezza” per cui diventa difficile per le donne del posto dimostrare la propria innocenza davanti ad un aborto spontaneo. Tra il 2000 e il 2011 ben 49 donne sono state condannate per omicidio o aborto. Ciascuno di questi casi sono stati riferiti da personale di ospedali pubblici e i processi molto spesso si basano su prove e testimonianze piuttosto fragili.
Glenda, per esempio, non ha potuto essere presente al processo perché era ancora in ospedale recuperando dall’aborto spontaneo. Nel paese i politici sono ancora sordi a questa condizione disumana. Le donne incinte con complicazioni nella gestazione infatti, si rifiutano di cercare assistenza sanitaria per paura di incorrere in azioni legali. Piuttosto, preferiscono il suicidio, la terza causa di mortalità tra le donne in gravidanza.