Donne e strade

Creato il 17 marzo 2012 da Davide

Una volta c’erano le donne di strada e ancora adesso per la verità. In alcuni casi davano vita a strade di donne: Calle de le Tette Belle a Venezia, per esempio, aveva finestre da cui le prostitute mettevano in mostra la mercanzia. Le suddette signore godevano anche del privilegio di avere un Ponte de le Tette e di un Sotoportego de le Tette in Contrada San Cassiano. Ci sono anche la Calle e il Rio Terà de le Carampane, sempre a San Cassiano, dove la famiglia veneziana Rampani (in linguaggio corrente Ca’ Rampani) possedeva alcuni stabili. Il termine popolare deriva dal gran numero di queste donne, carampane o meretrici, che inizialmente concentrate nel cosiddetto “Castelletto” di Rialto, si erano installate in questa contrada. A San Pantalon esistono una Calle, un Ponte e la Fondamenta de la Donna onesta. Secondo un aneddoto tradizionale due gentiluomini discutevano su questo ponte dell’onestà delle donne e uno dei due indicò per paradosso al compagno, come unica donna onesta, la piccola testa femminile sul muro della casa vicina. Qualcuno dice che il nome potrebbe anche derivare da una donna sposata che si sarebbe uccisa per essere stata violentata, o anche da una meretrice detta “donna onesta” perché discreta nell’esercizio della professione. In realtà l’espressione ‘cortegiana honesta’ significava prostituta d’alto rango, come Veronica Franco e quelle dipinte da Vittore Carpaccio. Gran parte della poesia femminile del Rinascimento è dovuta alle ‘cortegiane honeste’, oppure alle sante.
Ci sono a Venezia anche altri toponimi che concernono le Muneghe (monache) e le muneghette (monachine). I termini si trovano in vari toponimi che ricordano case monacali femminili, a Sant’ Alvise, Santa Marina, San Maurizio e altrove, mentre la Fondamenta delle Zitelle alla Giudecca prende il nome dalla chiesa di Santa Maria della Presentazione, detta delle Zitelle per l’attiguo “conservatorio” per ragazze, fondato nel 1561. La situazione altrove è diversa, nel senso che le donnine allegre, come si diceva una volta, sono puritanamente scomparse dagli stradari, e restano poche sante, legate alla chiesa di riferimento e le santificate: qualche regina e principessa, qualche scrittrice, pittrice ed educatrice, qualche figura politica legata alla Resistenza e al dopoguerra. Pochissime, al massimo si contano sulle dita delle mani.
Qualche giorno fa la sindachessa di Montecchio Maggiore (VI), Milena Cecchetto, della Lega Nord ha dichiarato che le prossime tre vie della cittadina di quasi 25.000 abitanti saranno intitolate a donne che si siano distinte a livello locale, nazionale o mondiale. La Cecchetto, infatti, si è accorta che a quanto pare Montecchio è il paese con meno nomi femminili dati a una strada d’Italia: solo una strada su duecento,via Erminia Gecchele, partigiana col nome di battaglia di Lena, cui è stata dedicata solo nel 2006. Mentre ci sono 131 vie dedicate a uomini più o meno famosi e 68 a laghi e monti.
Ma guardiamo lo Stradario di Torino con oltre 2000 strade in 23 quartieri: ci sono toponimi legati all’espansione sabauda, alle vie d’accesso verso l’esterno a cui le strade immettono, alla Guerra Fredda come Corso Unione Sovietica, al periodo coloniale italiano, a mari e città italiane. Vi sono nomi di mestieri artigiani nella zona medievale e non mancano santi e date storiche di ogni genere. Quanto ai nomi di persona il compilatore dello Stradario di Wikipedia afferma: “I personaggi storici sono in schiacciante maggioranza maschili, per motivi culturali storici. Solo per regine e principesse v’è una percentuale superiore, anche se sempre inferiore a quella dei “colleghi” uomini.”
In Un ethnologue dans le métro, 1986 (Un etnologo nel metrò, Milano: Elèuthera, 2005 ), Marc Augè percorre Parigi in metrò, sottoterra, e studia l’immagine che la capitale francese dà di sé attraverso i nomi delle fermate e della strade e piazze in superficie a cui danno accesso. «Lo spazio sotterraneo, grazie forse a un particolare effetto ottico, offre un’immagine ingrandita delle evoluzioni lente o accelerate dell’intera società in movimento», affermava Augé. Non interessa qui tanto il discorso di Augé sull’antropologia del movimento, da discutere in un altro momento, quanto il suo quadro della città di Parigi come riassunto della narrazione ideologica della nazione francese. Quale quella italiana?
Cosa salta fuori, a una settimana dall’8 marzo 2012, a un anno esatto dall’inizio delle assai modeste (e sobrie anche se Monti non era ancora al governo!) celebrazioni del 150enario dell’Unità d’Italia? La prima capitale d’Italia, Torino, è un buon posto per scoprirlo. Al Risorgimento è dedicato un gran numero di strade, con date storiche, personaggi politici, patrioti, generali, luoghi di battaglie vittoriose, agognate città del Risorgimento, regione ceduta nel 1860, la Savoia, altri topos come Piazza Carignano che ricorda il ramo dei Savoia regnante da Carlo Alberto in poi e piazza Statuto che ricorda lo Statuto Albertino. Personaggi di importanza nazionale anche nominati nelle vie del centro sono i musicisti Verdi, Rossini e Bellini, gli scrittori Manzoni, Tasso e Alfieri e il politico del primo Novecento Giolitti. L’entusiasmo alla fine della prima guerra mondiale contagiò anche il comune torinese e quindi appaiono generali e località legate alla Grande Guerra. Le vie intitolate dopo il secondo conflitto mondiale sono legate alla lotta antifascista tutta al maschile. Vi sono poi strade legate a personaggi storici come Pietro Micca e l’imperatore Augusto, ministri e studiosi, artisti di ogni genere, città italiane e straniere, la regina Margherita e la principessa Clotilde di Savoia, l’eroina sarda Eleonora d’Arborea, la pittrice Rosalba Carriera e la scrittrice Matilde Serao, la marchesa Giulia di Barolo, le attrici Giacinta Pezzana e Adelaide Ristori, eroine come Bricca (nel 1706) e la nizzarda Segurana, le principesse Lodovica (1629-1692) e Felicita (1730-1801) di Savoia, la religiosa suor Giovanna Francesca. La gran parte (si fa per dire) delle strade intitolate a donne si trovano nella grande periferia torinese.
C’è da chiedersi se le paludate signore che hanno graziosamente e involontariamente prestato il loro nome alle vie torinesi siano meglio delle allegre donnine veneziane che rallegravano la vista ai passanti con le loro poppe e scambiavano salaci commenti e inviti in veneziano. In fondo è questa l’immagine che si ricava dallo stradario al femminile, la vecchia immagine della divisione del genere femminile tra santificate, sante e puttane. Vale la pena di aspettare e vedere se le proposte per le nuove strade, non solo a Montecchio Maggiore, ma in altre città più grandi, continueranno a ricalcare questo stereotipo.


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