Donne senza voce. Fotografie di Sheila McKinnon

Da Gaetano63

Burkina Faso: near Ouagadougou, 2008

Anche nelle situazioni più difficili è percepibile un’opportunità , uno spiraglio di cambiamento avvertibile in uno sguardo o in un lampo di luce o di colore

di Gaetano Vallini

Far crescere la consapevolezza sui diritti delle donne e sull’urgenza di combattere con decisione le disuguaglianze e le ingiustizie che le colpiscono nel mondo. È quanto si prefigge la mostra fotografica di  Sheila McKinnon «Born invisible» allestita al Museo di Roma in Trastevere: cinquanta immagini che, come si legge all’inizio del percorso, trattano «dell’eredità del silenzio, dell’inudibile presenza di ragazze e donne senza una voce; anime ed esseri trascurati, i cui destini sono gestiti senza il loro consenso». Cinquanta foto che di fatto vogliono contribuire a rompere il silenzio e l’indifferenza. Perché guardi le donne ritratte e non puoi non pensare alle bambine stuprate e uccise in India, alle moderne schiave,  vittime della tratta, sfruttate in lavori duri e pericolosi o nel turpe mercato del sesso, e alle innumerevoli vessazioni e situazioni di dolorosa sottomissione cui sono costrette molte altre nel mondo.

India: Kolkata slums, 2007

Quello di McKinnon non è tuttavia un lavoro documentaristico di denuncia, ma concettuale, fatto sulle singole immagini, ricche di colore e spesso rielaborate, che nel loro insieme, pur partendo dalla realtà, «insegnano — come sottolinea la curatrice della mostra, Victoria Erics — a guardare a una reale possibilità di libertà, di pace e di divenire visibili». E lo fanno senza mostrare alcuna violenza o sopruso. La fotografa al contrario «fronteggia l’orrore della violenza che si trova appena sotto la superficie con la bellezza che c’è al di sopra». «Quella che emerge da queste fotografie — scrive nel catalogo della mostra Maria Giovanna Musso, professore di sociologia del mutamento e di sociologia dell’arte alla Sapienza di Roma — è un’immagine estratta dall’ombra, è un disegno che prende gusto all’idea del possibile, che si fa narrazione non solo di ciò che è, ma anche dell’eventuale, e dall’oscurità estrae un’idea di riscatto, una progettualità del cuore. È un’immagine che esalta l’aura degli esseri e delle cose, che si veste di colori inusitati, che gioca con l’improbabile e, senza sentimentalismi né retorica, sorridendo, invita al divenire. Sono ri-velazioni dell’invisibile».

Sierra Leone, Kenema, 2004

Dall’Etiopia all’India, dal Mozambico alla Thailandia, dalla Tanzania al Vietnam, dallo Yemen ai Caraibi, ovunque McKinnon abbia ripreso i suoi soggetti, i volti e i gesti delle donne rappresentate, siano bambine, giovani o già adulte, mostrano un presente non facile, ma soprattutto una speranza di futuro che scardini i legami con un passato doloroso. Un passato evocato nelle singole inquadrature attraverso quel contesto culturale che fa da sfondo e nel quale si svolge la vita delle donne sin dalla nascita, generazione dopo generazione. Una catena che però, come sembrano dirci queste fotografie, può essere spezzata. Perché anche nelle situazioni più difficili è percepibile un’opportunità; uno spiraglio di cambiamento avvertibile in un lampo di luce o di colore, oltre che in uno sguardo capace di raccontare un’esistenza. La mostra «Born invisible» si inserisce tra le iniziative di Women for Women International, organizzazione di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo nata nel 1993 con lo scopo di agire localmente in aiuto delle donne in situazioni di difficoltà, in particolare dopo conflitti armati. Al momento opera in Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Rwanda, Nigeria, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Iraq e Sud Sudan.
(©L'Osservatore Romano – 2 luglio 2014)


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