Donne vittime della spirale della violenza, quando e come avvertire il rischio di una tragedia familiare

Creato il 05 febbraio 2014 da Giornalesiracusa

E’ detta “spirale della violenza” il ripetitivo susseguirsi di atti violenti perpetrati a danno di una vittima designata. Trattasi di un termine usato soprattutto per indicare i maltrattamenti in famiglia compiuti ad opera di coniugi violenti che picchiano (con sempre maggiore frequenza) la consorte e la cui aggressività, fisica e verbale, verso quest’ultima, con il passare del tempo, la avvolge, la imprigiona e  la destruttura psicologicamente. 

La convivenza tra i coniugi è basata, dunque, su un rapporto di dominio/sudditanza tra chi agisce con violenza e chi subisce il maltrattamento e il tratto caratteristico di questo genere di relazione è costituito da una specifica tipologia di “amore” rinfacciato ed usato continuamente dal maltrattante come capro espiatorio e come mezzo di “correzione” e distruzione/annientamento dell’altro.

E’ un luogo comune considerare il maltrattamento come quel fenomeno che avvolge, nel tempo, la vittima come fanno i boa (serpenti) che imprigionano e lentamente stritolano nella loro morsa le prede catturate: più la preda tenta di liberarsi e più il boa stringe la presa, uccidendola.

Per questo si parla di “Spirale della Violenza”. La Spirale della Violenza, inoltre, si attua secondo uno schema ben preciso e lascia pochi dubbi al margine diagnostico degli esperti: intimidazione, isolamento, valorizzazione, segregazione, aggressione fisica e sessuale, false riappacificazioni e ricatto della sottrazione dei figli, sono le principali caratteristiche della fattispecie.

Emblematico è soprattutto il fatto che, nelle fasi iniziali, le vittime sono solite difendere i loro carnefici, giustificando sempre i loro atti di violenza:

“Mi picchia perché mi ama” sono solite pensare, infatti, le donne maltrattate.

“Se non gli importasse nulla di me, non mi userebbe violenza”.

Nello specifico, le varie fasi del maltrattamento si articolano nei seguenti assunti:

1. INTIMIDAZIONE: si attua mantenendo la vittima in situazione di costante paura in modo che ubbidisca, senza protestare, a tutte le richieste del maltrattante il quale, quando rientra in casa, con sguardi severi, silenzi minacciosi e voce tuonante ed aggressiva, crea un clima di tensione e di terrore. “ Sono stanco, mi hanno già rotto i co…… al lavoro, non farmi incaz… pure tu…” e “non farmi perdere la pazienza altrimenti ti…” sono alcune delle frasi tipiche pronunciate in questi casi e non mancano mai i pugni sul tavolo, le sedie rotte e gli oggetti tirati in aria con furia indescrivibile.

2 - ISOLAMENTO: è la fase in cui il maltrattante, per fare della vittima ciò che vuole, giustifica la sua condotta screditandola tra amici e parenti: “è una sporca”, “non mi fa trovare il pranzo pronto”, “non vuole che vi frequentiamo”, “dice che tua moglie è scema”, “sembra gentile, ma poi vi sparla”.

Altro comportamento tipico è il frequente litigio cercato (inventando interferenze o offese subite) con i parenti della vittima i quali vengono, pian piano, esclusi dalla vita coniugale. Ciò avviene affinché la vittima non abbia la possibilità di confidare a genitori, fratelli e sorelle le violenze ed i maltrattamenti subiti.

A questo punto la donna pensa che la vita di tutte le coppie sposate sia caratterizzata da violenza, la solitudine diventa la sua condizione abituale e perde ogni legame con il mondo esterno ed ogni alternativo punto di riferimento. L’agire del maltrattatore è uguale a quello del predatore che isola la preda prescelta per farne ciò che vuole: “se tu mi amassi non avresti bisogno degli altri”, “le tue amiche sono tutte delle putt…. tanto è vero che ci provano anche con me”, “la tua famiglia deve stare fuori da casa mia, se li trovo qua dentro facciamo i conti” sono altre frasi comunemente in uso dai maltrattatori.

3. SVALORIZZAZIONE: svalorizzare una donna vuol dire annientare la sua autostima spogliandola della sua dignità e della sua capacità di giudizio.

In questa fase l’agire del maltrattatore è mirato all’annullamento costante e progressivo della volontà donna:

non sei capace di nulla”, “questa pasta fa schifo”, “dai a me il tuo stipendio, altrimenti tu butti via i soldi”, “guardati allo specchio, hai un fisico riluttante”, “non capisci niente, hai il cervello di una gallina”, “ ringrazia che ti ho sposata perché altrimenti nessuno ti avrebbe voluta e saresti rimasta zitella”, “senza di me batteresti a strada”, “non potesti mai camminare da sola, perché non sei capace di fare nulla” e, ancora, la frase più svalorizzante di tutte: “sei soltanto un buco dove svuoto i cog…….”.

Poi, mentre le sottrae i mezzi di sostentamento lasciandola sempre senza un soldo, aguzza l’ingegno per trovare modi sempre nuovi, ingegnosi e diversi per umiliarla.

4. SEGREGAZIONE: è la fase in cui la donna diviene prigioniera del compagno. Già isolata dagli altri, spesso è costretta a rimanere sola in casa, con la forza o chiusa a chiave.

E’ sempre controllata a vista (anche da amici e parenti del maltrattante) e non ha mai la possibilità di utilizzare il telefono perché lui lo stacca dalla presa e se lo porta via.

Il maltrattante  prosegue, nel frattempo, con le minacce: “devi dirmi tutto quello che fai e ovunque vai…”, “se tu dovessi scappare, sappi che io ti troverei sempre e te la farei  pagare… a te e anche ai tuoi”, “non toccare il telefono altrimenti ti uccido…..”, “guarda che i vicini mi raccontano tutto…”

La donna, dunque, entra inevitabilmente in depressione.

5. AGGRESSIONE FISICA E SESSUALE: questa, di tutte, è la fase più subdola, che si manifesta lentamente: inizialmente il maltrattante non la smette mai di urlare, poi inizia con gli spintoni e la distruzione di oggetti.

Poi arrivano gli schiaffi, i calci e le lesioni fisiche con armi da taglio e bastoni. Solitamente, poi, con la prima gravidanza, aumentano le botte, i pugni, le bruciature di sigarette, le aggressioni con oggetti o armi e la violenza in genere, certe volte fino al tentato omicidio o all’omicidio vero e proprio.

La donna, in certi casi, è anche costretta ad avere rapporti sessuali con altri uomini, con l’uso della forza oppure con l’uso di attrezzi e materiali vari che spesso le procurano emorragie profuse ed imponenti. Il tutto sotto gli occhi divertiti e soddisfatti del suo aguzzino.

Le ingiurie sono le stesse di sempre: “sei una scema, incapace di imparare qualsiasi cosa”, “ti devo picchiare perché tu capisca qualcosa”, “guarda quanto mi hai provocato”, “guarda cosa mi hai costretto a fare”, “se non fai come dico io, ti ammazzo!”, “se vai alla polizia io ti ammazzo e con te chiunque ti aiuti”, “vai, vai alla polizia, chi vuoi che ti creda…? Io dirò che ti ha picchiato l’amante”.

Dopo il pestaggio, per salvaguardarsi dal giudizio dei vicini l’uomo, esce sul terrazzo e urla: “sei un’ubriacona, non fai altro che cadere”. Alcuni sono capaci perfino di farsi dare due pugni da un amico e poi vanno a denunciare la moglie dicendo che è stata lei ad alzare le mani. E questo solitamente nello stesso giorno in cui hanno coperto di lividi la sventurata compagna.

6. FALSE RIAPPACIFICAZIONI: è il momento più tragico per la donna maltrattata, quello in cui il maltrattatore, conscio che la compagna non regge più lo stress e rischia di ribellarsi, se non addirittura di suicidarsi, artificiosamente si addolcisce e modifica radicalmente il suo comportamento: “perdonami ero impazzito”, “sei la cosa più importante per me”, “se mi lasci, io mi ammazzo”, “devi capire…, ero esaurito”, “perdonami, avevo paura che tu mi lasciassi, ero geloso”, “facciamo un figlio, vedrai che marito e che padre esemplare sarò…”, “ti prometto che cambierò, fai conto che da adesso in poi non sarò più quello di prima”, “vedrai, da oggi in poi avremo una vita felice”. Improvvisamente diventa un dolcissimo amante.

La donna si illude, raduna di nuovo tutte le sue speranze ma, fatalmente, la violenza torna a colpire. E’ proprio questo crudele alternarsi di dolcezze e di violenza che induce la vittima alla psicopatologia.

La depressione reattiva studiata dalla psicologa Frankl nei campi di sterminio tedeschi, altro non è, infatti, che la risposta psico-fisica della vittima alla “dura violenza perpetrata con continuità”.

Tutto l’organismo si mobilita per difendersi dal maltrattamento: la persona vive in uno stato di ansia continua, salta sulla sedia ad ogni piccolo rumore, soffre di insonnia e incubi notturni, non riesce a focalizzare il pensiero su qualcosa e a pensare, e la sua psiche la fa vivere in una dimensione senza tempo in cui rivive, con sofferenza indicibile, i momenti felici del suo passato.

La sua unica realtà, dunque, diventa una realtà immaginaria in cui rifugiarsi per sfuggire al dolore e al maltrattamento.

Simone Weil, studiosa del comportamento umano, descrive così gli effetti della violenza: “La reazione umana alla violenza è così distruttiva per l’integrità psichica della vittima che la sua personalità ne rimane totalmente compressa e sopraffatta… giunge, così, imperterrita, la disintegrazione psicologica di chi la subisce…”.

7. RICATTO DEI FIGLI: per una donna triste e depressa perché ha subito ogni sorta di maltrattamenti, l’ultima beffa è rappresentata proprio dal ricatto per la custodia dei figli.

Questi ultimi vengono utilizzati come strumenti di ricatto per trattenerla, con la minaccia di una loro sottrazione da parte dei servizi sociali a causa delle condizioni psicofisiche in cui l’ha ridotta il maltrattante che, invece, non essendo stato maltrattato ha mantenuto intatto il suo equilibrio psicofisico e può mostrare una facciata di disgustoso perbenismo ed innocenza.

“Guarda come sei ridotta, a chi credi che il tribunale assegnerà i bambini?”, “sei un nulla, vedremo se i servizi sociali ti crederanno”, “non sei stata capace di fare funzionare il nostro matrimonio, figuriamoci se sarai capace di crescerti i figli da sola”, “a chi pensi che crederà il giudice? Ad una larva come te? Il mondo è degli uomini, siamo noi i vincenti, ti porterò via i figli e non li rivedrai mai più”, “non puoi strapparli al loro papà, hanno bisogno di me…” sono alcune delle frasi tipiche utilizzate in questi casi dai maltrattatori.

Disinformazione, paura, solitudine, umiliazione, forte senso di impotenza e, ancora, senso di colpa, scarsa autostima, depressione, perdita della speranza, tristezza e desiderio di morte e di fuga dal mondo, sono dunque i sentimenti che provano le vittime dei maltrattamenti in famiglia.

La società sta, finalmente, iniziando a schierarsi dalla parte dei soggetti fisicamente e psicologicamente più deboli e si sente parlare sempre più spesso del fenomeno della violenza contro le donne. Sono anche entrate in vigore delle leggi che tutelano le vittime di maltrattamento con l’allontanamento immediato dei soggetti maltrattanti e con il rifugio in case protette, ad indirizzo segreto, delle donne vittime di violenza e dei loro bambini.

In aggiunta, si assiste anche, da qualche anno a questa parte, ad un positivo proliferare, su tutto il territorio nazionale, di Associazioni e Centri Antiviolenza che, raccogliendo professioniste di vario genere (avvocate, psicologhe, assistenti sociali, pedagogiste, ecc.), si mettono a disposizione delle donne vittime di violenza per aiutarle a liberarsi dalla presa devastante del maltrattamento, nell’intento di restituire loro la dignità e la voglia di vivere ingiustamente e crudelmente sottrattegli da persone senza scrupoli.

Corre l’obbligo morale per chi viene a conoscenza di maltrattamenti perpetrati con continuità a danno di qualunque persona, dunque, di aiutare le vittime a reagire ai soprusi mediante la denuncia dei maltrattatori subiti alle Forze dell’Ordine ed alle autorità competenti.

I soggetti che maltrattano gli altri, al contrario di quanto si creda, non sono persone malate. Sono persone cattive. Perfettamente capaci di intendere e di volere.

Sanno di amare la violenza e non intendono rinunciare ad essa. Provano troppo piacere nel vedere soffrire gli altri. E, soprattutto, provano troppo piacere nel soggiogarli e sottometterli. Non sono individui onnipotenti, sono solo dei meschini prepotenti.

Coraggio, dunque. Reagire ai maltrattamenti è un dovere di tutti. Reagire ai maltrattamenti è un dovere verso noi tutti.