Cancellato, e ripensato l'approccio.
Non voleva uscire.
Eppure l'argomento mi sta a cuore.
E come potrebbe essere diversamente essendo donna, lavoratrice, mamma.
Allora mi sono fermata un attimo. Ho cercato di capire cosa mi succedeva.
E la mia riflessione è ripartita proprio da lì.
Dal filino d'ansia che mi contrae poco poco lo stomaco nel cercare la forma giusta per dare voce al mio pensiero. Niente di eccessivo, eppure è lì.
L'ansia di parlare di donne alle donne, sapere che ci saranno altre a leggere, a ripensare alle mie parole, forse a controbattere a suon di buonissime argomentazioni.
Poi i pensieri corrono uno dietro l'altro e mi sono ritrovata a chiedermi se alla fine non sia proprio questa sorta di ansia da prestazione che sta dietro a questa "leggenda" delle donne contro donne.
Il giudizio severo con cui spesso ci approcciamo ai nostri progetti, è poi lo stesso con cui ci rapportiamo a quelli degli altri? E' la tendenza a fare tutto al meglio, l'abitudine a tendere costantemente alla perfezione che fa si che poi si fatichi a fare gruppo? Io credo che, difficoltà e disparità a parte, noi donne siamo poco indulgenti, con noi stesse innanzitutto.
Se ripenso in questa chiave alle mie esperienze lavorative, acquistano quasi un sapore diverso.
Anni fa, quando ancora lavoravo come freelance, avevo questa collaborazione più o meno continuativa con una grossa azienda. Io curavo la realizzazione dei cataloghi e delle pagine pubblicitarie.
Il mio diretto referente era un'altra donna.
Per un po' è stato un incubo. Sempre "sul pezzo" anche fino alle 3 di notte. Non esistevano pranzi o cene o impegni privati, finché il lavoro non veniva portato a termine non esistevano pause.
Poi ci siamo prese le misure.
Ho capito che lei aveva bisogno della perfezione, perché rivestiva un ruolo duro nell'azienda, che prima era di un uomo. Che i prodotti che andavamo a vendere avevano target maschile. E noi due, mosche bianche, grazie alla sua dedizione quasi paranoica ci siamo salvate il posto.
Abbiamo fatto squadra, con me (ero più giovane) che l'ha capito dopo, purtroppo.
E ancora, l'esperienza vissuta in maniera più matura nel mio attuale posto di lavoro.
Quando mi hanno assunta (precaria, per carità) il mio capo mi ha detto: "io assumo solo donne, perché lavorano meglio". Sono rimasta lì, indecisa se ridergli in faccia o sputargli in un occhio.
"Chissà che macello" mi è stato pronosticato, da chi ascoltava il racconto di questo colloquio.
Di nuovo. Ci risiamo.
E invece no. Anche lì è stato un lavoro lungo, un prendersi le misure. Un conoscersi a tentoni prima di lasciarsi andare. Quasi con la certezza che sarebbe stato un "si" totale o un "no" totale.
Ora non potrei immaginarmi in nessun altro posto. La sintonia e la solidarietà fanno parte di noi. Quando sono rimasta incinta, mi hanno coperto le spalle, finché, al rinnovo del contratto non ho potuto dire apertamente che "ero stanca e avevo le nausee!"
Sono stata fortunata? Non so, l'inizio è stato duro. E' stato un venirsi incontro continuo, aggiustando il tiro.
Io con il filino d'ansia allo stomaco ogni mattina, se c'era un brief o un progetto condiviso.
Loro anche.
Queste le mie esperienze. Tutto sommato positive.
La mia buona prassi è non fermarmi di fronte al muro di gomma. Mio e quello tirato su da chi mi sta di fronte.
E' il prendersi le misure, insomma.
Come ho visto fare in piazza, quando ho partecipato. Guardarsi intorno e piano piano passare dalle singole individualità al sentirsi parte di qualcosa. Unite negli intenti, nonostante le proprie storie personali.
A conclusione che dire? Forse sono partita per la tangente.
Forse ho parlato troppo sulla base delle mie sensazioni. Difficile tirare somme, quando riflessioni portano a altre riflessioni.
Il filino d'ansia rimane ;-)
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