Il danese, che ora veleggia verso i 40 anni (è del ’74), ha cambiato versione decidendo di vuotare il sacco oggi per raccontare come il doping ha cambiato la sua carriera di ciclista.
Mi ritiro, e confesso: ho praticato il doping dal 1998 al 2010
Rabobank cominci a tremare: nonostante abbia tolto la propria sponsorizzazione alla squadra di ciclismo lo scorso autunno, per gli appassionati non sarà difficile associare la figura di Michael Rasmussen ai colori della banca olandese. Ancor più difficile, poi, sarebbe credere che questa c’entrasse nulla quando lo scalatore calvo sceglieva di sacrificare la salute sull’altare del successo.
In quel periodo ho utilizzato EPO, cortisone, insulina, ormoni della crescita e trasfusioni di sangue
Serve altro?
Un vero campionario degli orrori, ma anche l’ennesimo colpo mortale alla credibilità di uno sport, il ciclismo, che – come dimostra la vicenda Armstrong con i numerosi casi di insabbiamento della verità da parte delle istituzioni – in effetti non ne ha conservata granché.
Colpo ancora più grave se si pensa che Rasmussen, scontata la squalifica cui sta andando incontro (e che per il momento lo costringe a lavorare come rappresentante di orologi), ha già un accordo per diventare il direttore sportivo del team Christina Watches.
Ma Michael Rasmussen potrebbe sempre risponderci che nel gruppo due tra le ammiraglie più prestigiose sono guidate da Vaughters e Riis, entrambi – come lui – rei confessi (a posteriori).