Dopo Chavez. Cosa cambierà in America Latina

Creato il 07 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Annunciata l’altroieri, la morte del Presidente venezuelano Hugo Chàvez costituisce un evento la cui risonanza sarà avvertita ben oltre i confini del territorio venezuelano. Consegnato alla storia come personaggio molto complesso, dal carisma indiscusso e dalla mille risorse, il caudillo, alfiere del multipolarismo internazionale, ha cambiato la fisionomia del Venezuela e dell’intera America latina, finalmente affrancata dalle pressioni del fratello “maggiore” statunitense1.

La posizione geograficamente strategica del paese e il possesso di ingenti risorse petrolifere sono state importanti frecce all’arco di Chàvez la cui abilità ha consentito al Paese di emergere nel panorama geopolitico internazionale. Un’ascesa al potere, la sua, costellata da numerose e ben note tappe, che lo hanno portato lo scorso ottobre 2012 a conquistare per la quarta volta consecutiva il mandato presidenziale. Amato dalla maggioranza del suo popolo che oggi lo piange e al contempo lo osanna, Chàvez è stato il pioniere di una nuova visione multipolare che, scardinando i precedenti equilibri, ha contribuito a scrivere le prime pagine di un nuovo capitolo della storia dell’America Latina e, più in particolare, del Venezuela. La sua ascesa al potere, avvenuta per via elettorale nel 1998, a seguito di un travagliato e lungo percorso2 ha segnato la definitiva rottura con la precedente politica venezuelana che fino a quel momento aveva mantenuto il paese in una condizione di staticità, imbrigliato dal “Pacto de punto fijo” che consentiva ai partiti un accordo di convivenza e di pacifica alternanza al potere e garantiva al Venezuela una superficiale tranquillità.

Si inaugurava, così, quel nuovo capitolo di storia che gettava le basi del modello politico-istituzionale definito “Socialismo del XXI secolo”, che mirava alla creazione di una società attenta ai bisogni delle classi più deboli, avversa al capitalismo e fautrice di un forte nazionalismo basato principalmente su un sistema economico socialista e sul concetto di democrazia diretta e partecipata che, almeno fino ad oggi, hanno rappresentato i capisaldi della politica presidenziale. Passaggi emblematici di questa nuova era chavista sono stati la nuova denominazione del paese – da Repubblica Venezuelana in Repubblica Bolivariana del Venezuela – e il varo di una nuova Costituzione – adottata per mezzo di una consultazione referendaria tenutasi il 15 dicembre del 1999 – che ha dato un forte segnale di autonomia al Paese attraverso l’emersione di quell’ideologia bolivariana che mirava ad un processo di integrazione latinoamericana, alla fissazione del principio cardine secondo cui gli idrocarburi – di cui, peraltro, il Venezuela è uno dei maggiori detentori su scala mondiale – sono beni di proprietà della nazione3 e della regola per cui lo Stato si impegna a promuovere la produzione nazionale di materie prime e il controllo dello sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili, al fine di assimilare, creare e innovare tecnologie, generare occupazione, crescita economica e creare ricchezza e benessere per le persone. La Costituzione ha, inoltre, messo in risalto la condizione dei popoli indigeni riconoscendo e tutelando il rispetto dei loro diritti e previsto una nutrita gamma di leggi tese a disciplinare l’attività produttiva del settore privato, la creazione di un micro sistema finanziario e di una banca di sviluppo economico e sociale. Nonostante l’economia del paese sia rimasta fortemente legata agli introiti petroliferi, negli anni il governo Chàvez ha finanziato programmi di ricerca e innovazione, agevolato la creazione e la formazione di cooperative e di banche del popolo e varato una legge sulla terra per eliminare il latifondo e per sostenere lo sviluppo, la diversificazione economica del paese e la sovranità alimentare nazionale, con ciò dimostrando di saper diversificare le sue politiche e di voler far crescere il Venezuela anche nei settori non direttamente connessi alle risorse petrolifere.

Tuttavia, la “carriera” presidenziale di Chàvez è stata tutt’altro che in discesa. Un primo tentativo di ostacolare il corso della rivoluzione bolivariana è databile anno 2002, quando l’opposizione, approfittando dei malumori per il licenziamento di alcuni top managers della Pdvsa (azienda petrolifera di Stato) sostituiti dai fedelissimi del presidente, e con l’aiuto di alcuni militari golpisti e ben supportati dagli apparati di intelligence statunitensi, ordiva un colpo di stato a cui seguiva l’arresto di Chávez che, peraltro, lo tolse dalle scene solo per un brevissimo periodo4. Riacquisito il potere, invertiva definitivamente quella rotta che negli anni precedenti al suo governo aveva visto il Venezuela allineato alla politica di Washington adottando un modello di politica estera – denominato “la sfida” e che gli è valso l’appellativo di “Stato canaglia” – che puntava, da un lato, a contenere le aspirazioni egemoniche statunitensi e ad eliminare qualsiasi tipo di loro influenza sulla regione sudamericana attraverso una strategia di soft-balancing5; dall’altro, a fare del Venezuela un punto di riferimento non solo per i Paesi latino americani ma anche per altre zone del mondo.

In particolare, i due fondamentali ambiti su cui ha diretto la politica estera presidenziale sono stati quello internazionale e quella regionale.
Sotto il profilo internazionalistico, il Venezuela ha siglato con la Russia numerosi accordi volti a consolidare il rapporto strategico in diversi settori tra cui quello dell’energia, degli armamenti, delle infrastrutture, della scienza e tecnologia, della cultura e dell’istruzione; con la Cina ha intrapreso scambi bilaterali di risorse petrolifere dal momento che questa è per Caracas il terzo principale mercato di esportazione ed il quarto fornitore di beni importati; con l’Iran ha sviluppato un forte partenariato sia in campo energetico che militare divenendo uno dei sostenitori del programma nucleare di Tehran6. Anche sul piano regionale la politica di Chávez è stata contraddistinta da una serie di unioni economiche e commerciali miranti ad ottenere un’unità politica tra i paesi dell’America del Sud. Tra i passaggi cruciali, la creazione dell’ALBA – Alternativa Bolivariana per le Americhe – formata con Cuba cui presto, diventato presidente l’alleato indio Evo Morales, ha aderito anche la Bolivia e, successivamente, l’Ecuador, il Nicaragua e altri Stati caraibici7; l’adesione nel 2006 al MERCOSUR, di cui è divenuto membro a tutti gli effetti lo scorso luglio del 20128; l’ingresso nell’UNASUR e nella CELAC; da ultimo, nel 2011, la fuoriuscita dalla Comunidad Andina de Naciones (CAN) ritenuta, rispetto alle altre organizzazioni, maggiormente appiattita sull’ideologia liberale.

Dalla analisi che precede è lampante come la morte di Chàvez rappresenti un tassello fondamentale e delicatissimo per l’articolato quadro latino americano e, ovviamente, prima ancora per le future sorti del Venezuela. Pronosticare quali saranno gli effetti sugli equilibri regionali e internazionali fin qui costruiti è compito arduo, tuttavia é evidente che tutto il mondo – non solo mediatico, ma anche i maggiori governi della comunità internazionale e gli apparati strategici di molti Stati – manterrà accesi i riflettori sul Paese, monitorando le vicende delle prossime settimane al fine di coglierne in anticipo gli effetti, per niente scontati, sullo scenario latinoamericano e le eventuali ripercussioni sullo scacchiere geopolitico globale9. Sul piano regionale, l’indiscussa leadership di Chávez nell’Alba, unita alla dipendenza economica di molti paesi latinoamericani dal Venezuela e alla incertezza su chi sarà il successore alla presidenza, rendono molto incerto sia il futuro dell’organizzazione stessa che dei paesi membri, eccessivamente legati alle dinamiche politiche venezuelane. Ne rappresenta un esempio l’asse Venezuela-Cuba, uno dei poli attorno al quale è stata costruita l’ALBA, che verrebbe di fatto a vacillare se Nicolas Maduro, un fidatissimo di Chàvez destinato, quantomeno apparentemente, a raccoglierne il testimone, non riuscisse ad “imporsi” alle prossime elezioni presidenziali come suo degno erede. Una possibilità che, in concreto, il centro di potere si sposti altrove è rappresentata dalla figura del presidente ecuadoriano Rafael Correa, forse il miglior candidato a porsi alla guida dell’organizzazione10.

Ulteriori ripercussioni potrebbero esserci nei rapporti con gli altri paesi dell’America del sud quali, ad esempio, Colombia e Argentina, per i quali Chávez ha rappresentato un elemento di stabilità. Quanto alla Colombia, il Presidente, coadiuvato dai governi di Cuba, Cile e Norvegia, ha favorito l’instaurazione del negoziato di pace con le FARC, iniziato lo scorso settembre e tuttora in corso11. Anche per l’Argentina Chavez ha rappresentato un elemento di garanzia, soprattutto per aver riequilibrato il rapporto con il Brasile all’interno del Mercosur, per averne evitato il default acquistando i bond argentini non più collocabili sul mercato, per aver finanziato la campagne elettorali dei Kirchner, e, infine, per aver fornito attraverso la Pdvsa assistenza tecnica dopo la rinazionalizzazione della Ypf. La scomparsa di Chávez, inoltre, potrebbe produrre significativi cambiamenti anche tra i paesi dell’area carabica ai quali il nuovo governo potrebbe negare il sussidio da 7 miliardi di dollari in petrolio all’anno (di cui 3,6 a Cuba) e, al contrario, potrebbe lasciare sostanzialmente indifferente sotto il profilo economico il Brasile, stante la strategia di diversificazione energetica che lo ha reso relativamente poco dipendente dal petrolio venezuelano e, dunque, pronto ad acquisire definitivamente la leadership regionale.

Sulla base delle esposte considerazioni, appare chiaro come la posta in gioco sia molto elevata. Anche se la successione presidenziale apparentemente non dovrebbe creare particolari difficoltà potendosi risolvere in poco più di un mese – tempo necessario per convocare nuove elezioni presidenziali per come la stessa Costituzione venezuelana dispone all’articolo 233 – tuttavia questo evento sembra aprire uno scenario molto preoccupante in cui si prevedono possibili situazioni di caos. Inducono ad ipotizzare uno stato di tensione alcuni elementi quali la “denuncia” del vice presidente Nicolas Maduro che, poco prima di annunciare la morte del Presidente, ha accusato non meglio precisati “nemici della patria” (presumibilmente gli USA o fazioni interne) di aver complottato per ucciderlo; l’espulsione di due addetti militari della rappresentanza diplomatica statunitense per complotto contro il Governo; e, infine, l’ordine dato all’esercito di uscire in strada per controllare i punti più sensibili del paese, quasi a voler scongiurare il rischio che pericolose fazioni di opposizione possano in breve tempo organizzare un colpo di Stato che ponga fine all’era chavista12.

Il pericolo è, dunque, che si apra una fase di incertezza politica, acuita dai molteplici interessi in gioco sia sul piano interno che internazionale. Incerti, dunque, gli scenari che potrebbero profilarsi nei prossimi mesi: il Pusv potrebbe convergere sulla candidatura di Maduro a palazzo Miraflores, la cui vittoria, peraltro, sarebbe favorita se si andasse a votare in tempi rapidi; le opposizioni, dal canto loro, potrebbero, come attualmente è già in atto, ricompattatesi intorno alla piattaforma Mesa de la Unidad Democràtica (MuD), tentando di conquistare la presidenza ricandidando Henrique Capriles Radonski che ha dato prova, soprattutto nelle ultime consultazioni elettorali (sia presidenziali che regionali), di godere di un vasto consenso popolare. 


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