Giusto ieri scrivevo che la città di Genova si offriva per ospitare la sede della neonata Agenzia per la Sicurezza Nucleare.. giusto ieri lodavo il coraggio della città nel fare da apripista in mezzo a tanti legittimi dubbiosi.. mi dicevo fiducioso che i genovesi avrebbero accettato, una volta riflettuto sulla dimensione dell’opportunità che gli si prospetta, e una volta compresi i benefici che ne ricaverebbero la cittadinanza e la città stessa. E a quel punto, dicevo ieri, si sarebbe creata una fila di altre città pronte ad ospitare l’Agenzia. A rivendicarla. Avevo immaginato che qualcosa si sarebbe mosso, conoscendo un minimo gli italiani (nel bene e nel male) e sapendo che a volte hanno solo bisogno di vedere qualcuno che si fa avanti per primo. Ero fiducioso che qualcuno avrebbe detto: “fermi tutti! Ci siamo anche noi”. Però pensavo ci volesse più tempo.. e invece nella stessa giornata di ieri si è fatta avanti la città di Legnano. Che ha una storia di tutto riguardo, per inciso: oltre a Roma, è l’unica città italiana menzionata nell’Inno di Mameli… Digressioni a parte, il presidente della Provincia di Milano, Podestà, aveva lanciato la proposta di creare una ‘cittadella della ricerca nucleare’ proprio (cito testualmente da ‘La Prealpina’) “sull’asse del Sempione”. Adesso è il sindaco Vitali a rilanciare la proposta. A quanto pare, anche Legnano avrebbe delle spettanze nel campo del nucleare: sempre Vitali afferma infatti che (testualmente, dalla medesima fonte) “per Legnano è arrivato il momento di incassare un credito importante. Nessuno può ridarci la Tosi con seimila dipendenti, ma la proposta di Podestà è una possibilità concreta per guardare avanti. Il referendum sul nucleare e la concorrenza di Ansaldo hanno distrutto le nostre fabbriche, ora siamo pronti a ricominciare dalla ricerca … in città ci sono spazi e competenze per portare avanti un progetto interessante”. Quindi la città di Genova non sarebbe la sola ad averci rimesso qualcosa con la fine del programma nucleare 23 anni fa..
Inizio a sospettare che presto saranno tante altre le realtà ad alzare la mano e far presente l’impatto che il referendum ha avuto sulla industria locale. Se così fosse; se si componesse un mosaico di questo tipo, emergerebbe un fatto chiaro: lo stop al nucleare ha prodotto un danno all’industria apprezzabile su scala nazionale. Un danno legittimato dalla volontà popolare espressa democraticamente, beninteso. Ma pur sempre un mancato guadagno, un mancato sviluppo. Un non-avanzamento che paghiamo tuttora. Per carità, avevamo tutto il diritto di avere paura, dopo l’incidente di Chernobyl.. io ne avevo, per esempio. Abbiamo chiuso i nostri reattori, che già non avevano prodotto incidenti, proprio per evitare che potessero farlo. In 23 anni il mondo ha però proseguito a investire e prosperare anche con il nucleare; e l’ha fatto senza problemi. Vorrei ricordare che abbiamo diverse centrali atomiche appena oltre i confini nazionali (si pensi anche solo alle 5 svizzere): è facile capire che un incidente ci avrebbe investiti senza dubbio. Se non è successo, forse significa che la tecnologia è sicura. Il fatto è che a Chernobyl il problema è stato un altro: si è ‘spinto l’acceleratore’ oltre il limite e la struttura del reattore (a cui era stato disattivato il sistema di sicurezza e allo stesso tempo tolte quasi tutte le barre di grafite moderatrice) non ha retto alla enorme pressione del vapore, saltando come un tappo. Più che un incidente nucleare, fu un incidente chimico. Che non si è ripetuto in nessun luogo per fortuna. Oggi un sinistro simile non è progettualmente possibile.