Rita è la mamma di Ettore. Ha un lavoro, è una ricercatrice universitaria di area informatica ed è anche l’ autrice de “La madre di Ettore”, I libri della Leda editore, un libro autobiografico che racconta l’esperienza paradossale del mondo psichiatrico vista attraverso gli occhi di sua madre.
È una donna che ha condotto un’esistenza apparentemente perfetta, finché la vita non le ha dato per figlio, un gigante irragionevole, Ettore.
Lui e’ un ragazzo speciale: è bello, alto un metro e ottantacinque, pesa oltre cento chili ed è affetto da una grave forma di autismo che lo rende in taluni momenti pericoloso come una bomba inesplosa, mentre in altri è un delizioso cucciolo affettuoso.
Rita, nel libro La madre di Ettore, racconta la sua esperienza verso la scoperta di un mondo sconosciuto, fatto di sofferenze e di solitudine, ma anche di solidarietà e di affetto, che muta profondamente il suo modo di pensare e di essere. Il libro si conclude con i 18 anni di Ettore e la speranza che, dato il deserto dell’età evolutiva, qualche soluzione migliore si profili nell’età adulta.
Trascorsa da poco la Giornata dell’autismo del 2 aprile, abbiamo raccolto qui la sua testimonianza diretta, in maniera da dare voce alle tante madri che vivono in ombra il suo stesso enorme disagio. (Sabrina Maio)
“Il 2 aprile, giornata mondiale sulla consapevolezza sull’autismo, è passato. Le luci blu si spengono. Sono molto arrabbiata. Eppure io sono una persona tranquilla, a volte rassegnata. Sono indignata.
Vero, rispetto agli anni passati se ne é parlato molto e ci si sta rendendo conto che il problema esiste, ed è cosa buona.
Vero, ci preoccupiamo di allertare i genitori e di renderli consapevoli per far fare ai propri figli una diagnosi precoce. 1:68, un bambino ogni 68 è un bel numero. Che possa capitare a mio nipote? Benissimo dirlo.
Ma cosa ne é di quelli che non sono bambini? Che hanno superato la maggiore età? Tutto tace. Sull’autismo sono specializzati i neuropsichiatri infantili e dell’età evolutiva. Ti va bene se ti seguono fino a 18 anni, alcuni iniziano ad abbandonarti dopo i 12.
Con sorpresa, dopo un ricovero in Psichiatria ricevo la diagnosi: Psicosi con ritardo mentale. Autismo scomparso! Dopo un po’ di giri vari capisco: l’autistico adulto non esiste. Un medico della asl mi ha detto una volta: “Noi non siamo abituati a trattarli. Di solito vanno nei centri. Trattiamo solo schizofrenici e depressi.”
Così, il bambino chiuso in sé stesso che lancia oggetti o guarda la lavatrice che fine fa quando diventa adulto?
C’è un vuoto sanitario pauroso. A questa mancanza di supporto medico si vanno ad aggiungere la mancanza di assistenza e di riabilitazione. I ragazzi a 18 raggiungono certi risultati grazie alle terapie presso centri riabilitativi. Passati i 18 sembra che non ne abbiano più bisogno, mentre il mantenimento delle abilità raggiunte si ottiene continuando le terapie. Il risultato è una paurosa regressione.
Molti ragazzi che non venivano internati frequentavano semi convitti presso centri riabilitativi o socio-assistenziale, un modo per dare un po’ di respiro alle famiglie e per farli integrare socialmente e far condurre loro qualche attività lavorativa “o pseudo-tale” , nei limiti delle loro possibilità.
In Campania la Regione ha con il decreto 108/14 cancellato, di colpo per 1530 disabili mentali, il semiconvitto, stabilendo, solo per loro, un tetto di spesa. Dove andranno ora? Come faranno i loro genitori ad andare a lavorare?
E che ne è dei casi speciali, quelli che non riescono ad essere trattati perché pericolosi? Questi ragazzi richiedono un rapporto 1:1, vuol dire un operatore tutto per loro tutto il giorno.
“Signora, suo figlio è troppo costoso, noi non disponiamo di queste cifre. L’unica cosa che possiamo fare è sedarlo”, in questo modo rispose una volta un medico alla mia richiesta di aiuto. “Quelli troppo costosi” rimangono così a carico delle proprie famiglie che, se hanno una buona situazione economica, si dissanguano per poter trovare degli operatori pagati privatamente e vivere una vita decorosa. Se ciò non è possibile, diventano ostaggio dei propri figli, seguendo i loro bislacchi orari di riposo, senza poter avere una vita sociale, uscendo a turno, dato che la nonna che si offriva per tenerli quando erano piccoli ora proprio non ce la potrebbe mai fare con un marcantonio alto 1, 90 m. Che ne sarà di loro? Per quanto tempo i genitori potranno resistere? Cosa ne è dei fratelli che sono costretti a vivere con i genitori sempre impegnati dietro “l’altro”? A questo si va ad aggiungere l’isolamento sociale: le famiglie si sentono incomprese e diventano esse stesse autistiche.
Nessuno, inoltre, risponde alla loro domanda: cosa sarà del mio meraviglioso figlio quando non ci sarò più? E se mi ammalo? Chi farà per lui la fila alla farmacia della ASL? Chi avrà la forza di bloccarlo mentre inizia a farsi del male o mentre si tira addosso un armadio? Meravigliosi figli. Sui gruppi di Facebbok emerge questo: i nostri ragazzi hanno un animo puro, sono degli angeli, dei giganti buoni. Non conoscono malizia né malignità.
Questo rende impossibile per un genitore abbandonarli. Croce e delizia. Non cerchiamo pietà noi genitori speciali, niente commiserazione del tipo “Poverini, che guaio hanno passato!”, no vogliamo solo il supporto che ci è dovuto in una società civile del terzo millennio, crisi o non crisi. ”
Rita Francese
commenta: Dopo il 2 aprile cosa ne è degli autistici adulti?
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