Dopo la crisi

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Come uscire dalla crisi e vivere meglio: rimettere la finanza al suo posto, costruire un’economia sostenibile, avviare politiche per uno sviluppo di qualità, dare valore al lavoro. Questo libro raccoglie le proposte di 32 economisti ed esperti italiani, europei e statunitensi, uniti in un think tank collettivo che mostra come lasciarsi alle spalle speculazione, strapotere dei mercati e neoliberismo, e realizzare politiche nazionali ed europee capaci di cambiare l’economia. Un progetto comune dell’Etui - Istituto Sindacale Europeo - e di Sbilanciamoci!, la campagna di 47 organizzazioni della società civile italiana per una politica e una spesa pubblica che serva alla società, all’ambiente ed alla pace. Questo libro presenta un programma di lavoro per politici, enti locali, sindacati, associazioni e movimenti. Up! vi presenta un articolo del Professor De Grauwe, membro del gruppo di analisi politico – economica presso la Commissione Europea, estratto dal libro “Dopo la crisi”, consapevoli che “quantificare e prevenire tutti i rischi creati dal sistema finanziario è impossibile. Ma possiamo limitarli, attraverso un ridimensionamento delle attività delle banche. La via migliore è quella di tornare a una “banca minima”: riportare la finanza al servizio dell’economia reale, tornando alla divisione tra le banche commerciali che prestano a famiglie e imprese e le banche d’affari”.

IL FUTURO DELLE BANCHE - di Paul De Grauwe

Dovremmo forse tornare a un modello di “banca minima”? Dovremmo, cioè, ridimensionare l’attività delle banche commerciali a quella di fare prestiti tradizionali a famiglie e imprese, tenuti in bilancio fino alla scadenza, e permettere soltanto alle banche d’affari di occuparsi di cartolarizzazioni ed altre sofisticate forme d’investimento? Per rispondere a queste domande, è opportuno guardare ai principi basilari su cui fonda l’attività bancaria.

Esistono due caratteristiche peculiari che fanno delle banche degli operatori molto speciali. In primo luogo, esse prendono a prestito a breve e prestano a lungo termine. In questo modo, si dà vita a un particolare tipo di rischio, cioè quello di liquidità. Esso è un cosiddetto tail risk, cioè un rischio molto grave che si verifica raramente ma che, quando lo fa, è in grado di provocare effetti devastanti. È molto difficile, se non impossibile, quantificare tali effetti poiché essi non sono che il risultato di moti collettivi di sfiducia e di panico.

In secondo luogo, le banche sono al centro del sistema dei pagamenti. Questo crea una rete che connette le une alle altre le banche che prestano e che prendono a prestito. Il mercato interbancario crea l’interconnessione del rischio: se una banca fallisce, il resto degli istituti di credito ne risentiranno. Se si verifica un problema in una banca, esso si diffonderà facilmente nell’intero sistema interbancario come fosse una malattia infettiva. Dunque, è verosimile che nel sistema bancario i rischi siano altamente correlati. Il che contrasta con quanto si verifica nel settore non-bancario. Ad esempio, il fallimento di un’azienda automobilistica non potrà che essere una buona notizia per il resto delle aziende del settore, le quali espanderanno la loro produzione e i loro profitti.

Si pensava che l’attività di cartolarizzazione, diventata popolare dagli anni ottanta in poi, avrebbe potuto ridurre il rischio sistemico diffondendo il rischio, altrimenti concentrato in un’unica banca, tra un numero maggiore di istituzioni. Nei fatti, è successo esattamente l’opposto: la cartolarizzazione ha aumentato il rischio sistemico. Ogni volta che una banca del Midwest trasformava i propri mutui immobiliari di asset backed security (titoli con garanzia collaterale) e li trasferiva presso un’altra istituzione bancaria, diciamo ad esempio, tedesca, il grado di interconnessione e di correlazione del rischio sistemico aumentava. Il fenomeno della cartolarizzazione ha essenzialmente amplificato la criticità connaturata al sistema bancario: quella per cui uno shock che accade in un determinato luogo si trasmette rapidamente al resto del sistema. Di conseguenza, è aumentata la fragilità insita nel sistema bancario.

Come affrontare il problema? Vi sono essenzialmente due modi. Il primo prevede che le banche mantengano il modello della banca d’affari che consentirebbe loro di cartolarizzare in forme più o meno sofisticate i propri presiti, ma assoggettandole a una più rigida regolamentazione e a un controllo più stretto di prima. È questo l’approccio al momento preferito dai politici. Si basa sulla convinzione che i rischi creati dalle banche siano gestibili e contenibili, per esempio, imponendo il rispetto di appropriati rapporti tra capitale e liquidità e, come è stato già proposto in vari paesi, assoggettando l’introduzione di nuovi strumenti finanziari a un’approvazione preventiva.

Il problema di tale approccio è che non siamo in possesso di una scienza dei “rischi interconnessi”, che sono i rischi creati dalle banche. Noi conosciamo la scienza dei rischi indipendenti, cioè di quelli che, se emergono in un certo luogo, possono essere isolati poiché non si sono propagati nel resto del sistema. La scienza dei rischi indipendenti è stata uno strumento molto potente ed efficace nello sviluppo e nella determinazione dei prezzi dei derivati e di altri sofisticati strumenti finanziari, tuttavia si rivela uno strumento inutile nella gestione del rischio tipico del sistema bancario. Essa non solo è inutile, ma anche pericolosa poiché condurrà a una sorta di compiacimento. Quando il nuovo regime di regolamentazione sarà messo a punto, essa creerà l’illusione che le cose saranno sotto controllo, mentre, sotto sotto, la ”bomba a orologeria” dei rischi correlati, che potrà essere azionata da moti collettivi spontanei di panico, continuerà a ticchettare.

Il secondo approccio nasce dall’ammissione che non siamo in possesso degli strumenti per quantificare i rischi creati dal sistema finanziario. Tutto ciò che possiamo fare è limitare tali rischi mediante un ridimensionamento delle attività delle banche. È questa l’idea sottostante alla cosiddetta “banca minima” (narrow bank), che fu il principio essenziale del Glass-Steagall Act, introdotto negli Stati Uniti all’indomani della Grande depressione, e di simili provvedimenti legislativi in diversi paesi europei. Secondo questo approccio, alle banche commerciali, cioè quelle che detengono i depositi dei risparmiatori ordinari, non viene permesso di intraprendere quelle attività che incrementano l’interconnessione dei rischi. Dato che la cartolarizzazione dei prestiti è una di queste, tale attività non sarà loro permessa. Dunque, l’obiettivo della “banca minima” è quello di ridurre la possibilità per il sistema bancario di generare rischi correlati. Questi rischi non possono essere eliminati del tutto, ma certamente possono essere ridotti.

Si obietta che tale modello determinerebbe una riduzione del credito e, in tal modo, influenzerebbe negativamente la crescita economica. La risposta a questa obiezione è che la cartolarizzazione e l’innovazione finanziaria hanno condotto a un’esplosione del credito bancario che si è poi rivelata insostenibile. Esse hanno portato a un boom dei consumi e delle attività immobiliari che però hanno incrementato la crescita economica solo temporaneamente. I tassi di sviluppo che si sono osservati nel Regno Unito o negli Stati Uniti nella decade precedente il tracollo, erano mantenuti artificialmente alti grazie a una concessione di credito al consumo resa possibile soltanto dalle attività di cartolarizzazione. Dopo il crollo, la crescita dovrà necessariamente tornare a livelli più bassi e sostenibili, specie nei paesi che hanno sperimentato più alti e artificiali tassi di crescita. Tassi di crescita sostenibili potranno raggiungersi solo in ambienti in cui le banche siano messe in grado di creare meno rischi. E si tratterà di un ambiente che darà luogo a minori livelli di profitto.

L’innovazione finanziaria farà ancora parte del nuovo panorama bancario, le banche d’affari potranno ancora sviluppare nuove e sofisticate tipologie di titoli. Il limite che incontreranno, tuttavia, sarà quello per cui esse non potranno più finanziare tali titoli (per lo più non liquidi) tramite finanziamenti di breve termine. In altre parole, le banche d’affari non potranno più operare come delle banche commerciali, come purtroppo succede ancora oggi. Inoltre, queste stesse banche d’affari non potranno più essere indennizzate dallo Stato, nell’eventualità di un fallimento.

I banchieri e i loro numerosi gruppi di pressione urlano a gran voce che una banca così “ristretta” avrà l’effetto di deprimere l’innovazione e la crescita. Ma non dategli retta. D’altronde, prima dell’era della cartolarizzazione, nei paesi industrializzati si riscontravano tassi di crescita più elevati. Le proteste dei banchieri sono autoreferenziali. Quando essi chiedono che l’attuale modello di banca non venga stravolto, non sono affatto interessati al benessere generale; essi sperano piuttosto di tornare quanto prima alla situazione precedente alla crisi, durante la quale hanno guadagnato altissimi profitti con la certezza che parte dei rischi che essi creavano sarebbero stati sostenuti dal resto della società.