Doppia recensione: Il ricordo dell’amore, di Aminatta Forna

Creato il 24 giugno 2014 da Visionnaire @escrivere
Titolo: Il ricordo dell’amore
Autore: Aminatta Forna
Editore: Cavallo di Ferro
Pagine: 688

Trama (dal sito dell’editore): Cosa accomuna il dottor Kai Mansaray, brillante chirurgo dell’ospedale di Freetown, in Sierra Leone, ed Elias Cole, l’uomo morente a molti reparti di distanza? Cosa li ossessiona, li avvicina e allo stesso tempo li tiene lontani? Quando lo psicologo inglese Adrian Lockheart giunge in Africa per curare i traumi della guerra civile sierraleonese, inizia a svelare il legame tra i due uomini, fino a scoprire che l’amore può diventare causa di azioni terribili, le cui rovinose conseguenze si diffondono come cerchi nell’acqua. Una storia di amicizia, amore e guerra, in cui tre vite sono indissolubilmente legate dagli effetti indelebili del passato e da un amore ossessivo e devastante. Un romanzo che non è solo il drammatico resoconto di ciò che rimane dopo una delle più violente guerre civili della storia, ma che indaga, con una scrittura appassionata e arguta, i meccanismi della coscienza umana, il valore dei legami, dei ricordi e delle parole.

Recensione di Nerina:

Gli undici anni di guerra civile hanno lasciato nella popolazione della Sierra Leone traumi indelebili. Non è un caso se il ricordo dell’amore a cui si rifà il titolo del romanzo nel testo viene citato in paragone a quello che succede a chi perde un arto, ma continua a sentire dolore. L’arto non c’è più, ma il dolore evocato dal cervello è reale, proprio lì dove non c’è più niente. E’ significativo perché la guerra è stata una delle più violente di cui si ha notizia. Sono tragicamente famosi i bambini soldato, drogati, costretti a compiere atrocità, armati di mitragliatrici e machete. Prima di un attacco dei ribelli nei villaggi, andava in avanscoperta l’unità di sensibilizzazione; una dimostrazione della violenza che sarebbe arrivata a breve: mutilazioni, stupri, incendi, brutali omicidi. Chi è sopravvissuto, civili o soldati, non potrà mai scordare ciò che è accaduto.
Ma la vita va sempre avanti e quello che la medicina occidentale ha chiamato disturbo post traumatico da stress (malattia di cui secondo alcune ricerche pare soffrire il 99% della popolazione) in Sierra Leone è chiamato semplicemente vivere. Perché non c’è un’alternativa per scappare da un passato del genere, perché fa parte di tutti e ognuno reagisce come può. C’è chi come Kay, uno dei protagonisti, chirurgo all’apparenza instancabile, si butta a capofitto nel lavoro trovando solo nella sala operatoria uno stato di concentrazione efficace per non pensare ad altro. C’è chi abusa di droghe, chi decide di non andarsene da quella terra che continua ad amare, chi invece fugge all’estero e chi, soprattutto fra i più semplici, non ha la possibilità di verbalizzare il proprio vissuto e, completamente in balia delle esperienze negative, impazzisce.
Protagonista del romanzo è uno psicologo e la scienza della mente è altrettanto presente; si mettono in mostra i meccanismi di fuga dissociativa, raro evento che il cervello attua come ultima risorsa quando la situazione in cui si deve vivere non è più sostenibile, o le più comuni menzogne e omissioni che raccontiamo (o le verità che omettiamo, appunto) agli altri o a noi stessi. Il sentimento dell’amore poi ha una grande rilevanza, l’amore che può farci rinascere ma anche diventare un’ossessione che spinge ad azioni meschine, quando la gelosia trasforma la mediocrità in cattiveria.
Tutto questo, narrativamente, si traduce in un romanzo denso, che copre un arco di tempo molto lungo – attraverso il racconto di Elias Cole, apparentemente staccato dal resto della storia, risaliamo agli anni sessanta – e presenta diversi personaggi. Le storie del chirurgo e dello psicologo si intrecciano da subito, mentre il racconto di Elias, un vecchio professore universitario morente, troverà la sua unione con il resto della trama solo verso la fine. E la sua storia è proprio quella che mi ha interessata maggiormente: l’ossessione d’amore per una donna felicemente sposata a un uomo forte e carismatico che ricambia il sentimento, il cercare di inserirsi fra di loro e le conseguenze che questo causerà in tutti i personaggi hanno mantenuto alta la mia attenzione. Le altre trame le ho trovate invece procedere con meno tensione. Se la forza del romanzo non è quindi il ritmo, talvolta lento, lo è di sicuro la ricostruzione degli ambienti – come l’atmosfera della Freetown degli anni sessanta o gli ospedali con carenza di risorse del periodo post bellico – e la resa delle psicologie.
Ma anche la trama è ben studiata e il modo in cui si conclude dà soddisfazione e regala persino un po’ di speranza, tuttavia dato il realismo che contraddistingue il romanzo, anche questa avrà un prezzo.
In ultimo, lo stile dell’autrice è delicato e realistico, un connubio che consente di visualizzare la bella e precisa ambientazione e anche di riconoscersi in certe sensazioni grazie all’universalità del sentire umano.

Lascio una citazione che fa riflettere:

“Una volta, fermo in uno spazio aperto, aveva visto un aereo di linea passare in alto, diretto da un paese a un altro, con il sole che gli splendeva dorato sulle ali. Gli era parso incredibile che dentro ci fossero persone che bevevano vino, mangiavano da vassoi di plastica e premevano un pulsante per chiamare l’hostess. Avevano idea di cosa stava succedendo direttamente sotto di loro, dove una nazione divorava se stessa? Si era sentito come un uomo in procinto di annegare che vedesse una nave passare oltre, poco lontano.”

Voto:

  • Nerina

    Chi sonoBella domanda. Se fossi una filosofa riempirei pagine e pagine a questionare sull'essere. Ma non sono una filosofa. Amo scrivere, ma il più delle volte odio come lo faccio. Mi trovo bene fra i branchi di cani. Mi piace l'acqua. Bere dalla bottiglie e le piscine. Tutto qua ^^

Recensione di Guero:

Il ricordo dell’amore non è solo il titolo di questo romanzo, non è solo uno strillo, anche piuttosto commerciale. Il ricordo dell’amore è quello che ci prende per mano all’inizio del romanzo e ci guida per tutte le sue seicentottantotto pagine.
Il ricordo dell’amore è presente e costante, non viene mai messo in secondo piano.
Quando si trattano temi scottanti, dolorosi e forti come può esserlo una guerra civile il rischio di focalizzare tutta l’attenzione sull’evento storico è forte. Ed è in questo tranello che Aminatta Forna non cade. Non cede alla cronaca, rimane viva ed estrosa romanziera dall’inizio alla fine.
Si percepisce la rilevanza che gli eventi trattati, nello specifico la guerra civile sierraleonese, scoppiata nel 1991 e durata oltre un decennio, hanno avuto nella vita dell’autrice, si percepisce quanto ella sia dentro la vicenda, ma è un qualcosa che traspare in maniera genuina e che rende più interessante e credibile il romanzo. Non si ha mai la sensazione di leggere un libro di storia, non si è mai annoiati da un capitolo per via delle sue descrizioni dell’ambiente, della popolazione locale o degli usi e costumi, affatto. La Forna ci cala in un contesto ricchissimo, e lo fa con la maestria di chi sa giocare con le parole, di chi sa reggere le fila di tre racconti paralleli che si uniscono con coerenza.
Adrian, Kay ed Elias, le tre voci di quest’opera, i tre personaggi che descrivono in modi diversi una realtà così lontana, sono personaggi sfaccettati, veri e sempre interessanti da seguire. Rispettivamente uno psicologo, un chirurgo e un vecchio docente universitario i tre permettono, grazie ai loro lavori, di sondare diversi aspetti della vita in Sierra Leone.
La dedizione al lavoro di Kay, i suoi ricordi di un amore passato, lo sconforto derivato dalla voglia di non lasciare la propria terra natia, nonostante tutto.
Adrian, personaggio che ci catapulta nel campo della psicologia, che ci permette di seguire da vicino gli effetti che tale guerra ha avuto sull’intera nazione. Il disturbo post traumatico da stress che affligge la quasi totalità della popolazione o lo studio di un fenomeno decisamente più raro, la fuga dissociativa. I capitoli di Adrian, per quanto a volte tecnici, rimangono sempre interessanti e ben scritti. E anche il suo lato umano emerge pian piano. Le sue motivazioni, le scelte che lo spingono a lasciare in Inghilterra la propria famiglia per compiere questo viaggio incredibile, la scoperta di un nuovo amore. Tutto vivo, cronaca medica che viaggia con diario personale.
Devo tuttavia ammettere che, seppure le storie di Adrian e Kay sono quelle che permettono di verificare più da vicino gli effetti di una guerra come quella sierraleonese, quella che mi ha stregato è stata quella di Elias. Il ricordo dell’amore più potente, forte e a tratti doloroso è il suo, la storia di un’ossessione per una donna, Saffia, che mi ha coinvolto sin dalle prime battute. Divoravo i suoi capitoli e leggevo con impazienza quelli di Adrian e Kay per brama di sapere cosa sarebbe successo poi ad Elias. L’infatuazione per Saffia era diventata la mia, ero io l’Elias che cercava in tutti i modi di stare da solo con la sua bella. Sentivo dentro le mie orecchie le parole in un’altra lingua della zia contrariata di Saffia. Ho percepito il dolore di un amore non ricambiato, l’umanità di un personaggio vecchio, stanco e pieno di rimorsi.
Un romanzo, questo, che a mio parere merita di essere letto, che merita lo sforzo richiesto per appassionarcisi, che merita una lettura attenta ai dettagli, curati in maniera maniacale da Aminatta Forna. Duro, non sempre liscio, ma potente e dalla capacità di far riflettere. Ripeto che ciò che dissi in occasione della recensione de “L’ombra della luna crescente”, altro titolo del catalogo Cavallo di Ferro: romanzi come questo ci ricordano che esistono realtà talmente lontane dalla nostra quotidianità che vengono spesso dimenticate.
Un gioiellino che sono felice di annoverare tra le mie letture.

Voto:

  • Guero

    Chi sonoGuerino Di Mattia. Ventunenne con la prestanza fisica di un ottuagenario e l'anima di un preadolescente. Mi rifugio nelle vite degli altri (che siano su carta o schermo) perché vivere solo la mia non mi basta.


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