«Ma non capisce, Mr Stoner?», domandò: «Non ha ancora capito? Lei sarà un insegnante».
Al’improvviso gli sembrò che Sloane si stesse allontanando, insieme alle mura dell’ufficio. Si sentì sospeso nell’aria aperta, mentre la sua voce diceva: «È sicuro?».
«Ma certo», disse dolcemente Sloane.
«Come può dirlo? Come fa a saperlo?».
«È la passione, Mr Stoner disse allegro Sloane, la passione che c’è in lei. Nient’altro».
Archer Sloane, il professore dell’università di Columbia, ha ragione: William Stoner, infatti, è di quelli che attraversano l’esistenza con ostinazione e determinazione che soltanto la passione può garantire. Stoner, «unico figlio di una famiglia solitaria, tenuta insieme dalla necessità della fatica» è di quelli che non si tirano indietro, non si lasciano distogliere dalle avversità, non si arrendono mai. Per sopportare una vita di stenti e fatica, tanto arida di gratificazioni quanto prodiga di umiliazioni e dolore, ci vuole passione.
Arrivato a Columbia da Booneville, il piccolo paese rurale dove è nato, «con un completo di panno nero nuovo, un vecchio cappotto pesante, un paio di pantaloni di saia blu, due camicie bianche, due cambi di abito e venticinque dollari in contanti», Stoner attraversa giorno dopo giorno un’esistenza desolata e triste, senza mai mostrare un ripensamento, un’esitazione, proseguendo un cammino, inossidabile alla disperazione e all’abdicazione, che si concluderà un istante prima di morire con la piena consapevolezza di cosa era stato. «Una morbidezza lo avvolse e un languore gli attraversò le membra. La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa e ne avvertì la potenza».
Stoner è vissuto così, prendendo consapevolezza di sé anno dopo anno, costruendo la propria identità sulle macerie di ciò che non è più.
Da taciturno contadino diventerà un profondo conoscitore e cultore della letteratura inglese, un insegnante appassionato e brillante, dopo essere stato umiliato dallo sprezzante Sloane con un sonetto di Shakespeare. E se anche la sua carriera universitaria non conoscerà mai l’apice del successo e gli onori della memoria, lui continuerà ogni giorno a svolgere con passione il proprio lavoro, unica vera vocazione della sua vita.
Dopo essere stato assalito dalla coscienza della propria goffaggine alla vista di Edith Bostwick, «quella giovane dal viso dolce e affusolato», deciderà di conoscerla e sposarla, fermamente convinto di essere innamorato. Nel giro di un mese Stoner realizzò che il suo matrimonio era un fallimento ma invece di ribellarsi all’indifferenza, all’ostilità, addirittura alla follia di una donna arida e meschina, «imparò il silenzio e mise da parte il suo amore» per poi soddisfare senza esitazione quell’improvvisa richiesta di avere un figlio. Grace era «una bambina bellissima che piangeva di rado e sembrava quasi consapevole di ciò che aveva intorno» e William se ne innamorò all’istante, trasferendo sulla figlia l’affetto che non poteva dimostrare alla moglie. Si prese cura della bambina con passione e dedizione, continuò a studiare, scrivere, preparare le lezioni, correggere i compiti e le bozze del suo libro. Ancora una volta Stoner ha preso consapevolezza di sé, ha capito che «la sua vita era quasi come l’aveva voluta».
È tutta così l’esistenza di Stoner, un susseguirsi di incipit di cui si immagina un altro svolgimento da quello che realmente si palesa, perché il futuro per William Stoner è «una certezza fulgida e immutabile, non un flusso di eventi e mutazioni, ma un territorio in attesa di essere esplorato, non l’obiettivo ma lo strumento del cambiamento.
L’amico Dave Master, morto prematuramente durante il primo conflitto mondiale, aveva definito Stoner «il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza», ma Stoner non è pazzo, non combatte battaglie impossibili e immaginarie, non soccombe al delirio visionario, non urla e non piange. Stoner interpreta l’esistenza con un eroismo senza pari, dimostrando che si può fronteggiare l’umiliazione e la vessazione, il dolore e la devastazione, la solitudine e la morte senza essere sopraffatti, spazzati via dall’assenza di senso.
Stoner è un uomo infelice? È un uomo senza qualità? È un fallito? No, sembrerebbe dirci Williams con questo libro bellissimo e struggente, pubblicato per la prima volta nel 1965 e ristampato nel 2003 dalla «New York Review Books». Un libro che lascia attoniti e inquieti, che commuove e scuote, che strazia e incanta. No, ci viene da rispondere, se siamo disposti ad accettare la fatica e il dolore necessari per scoprire chi siamo e difendere la nostra identità fino alla fine.
Per approfondire:
leggi la scheda della New York Review Books
Stoner di John E. Williams
traduzione di Stefano Tummolini
Fazi, 2012
pp. 332, €17,50
Leggi la recensione di Chiara Rea su Via dei Serpenti