(Ita 1970)
Regia: Elio Petri
Cast: Gian Maria Volontè ( Il dottore) Florinda Bolkan (Augusta Terzi ) Orazio Orlando ( Biglia ) Salvo Randone ( Idraulico ) Gianni Santuccio ( Questore) Sergio Tramonti ( Antonio Pace) Arturo Dominici (Mangani) Massimo Foschi (Ex marito Augusta Terzi) Aldo Rendine (Panunzio) Fulvio Grimaldi (Patanè) Vincenzo Falanga (Pallottella) Aleka Paizy (Cameriera dottore)
Soggetto: Ugo Pirro- Elio Petri
Sceneggiatura: Ugo Pirro- Elio Petri
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Fotografia: Luigi Kuiveller
Musica: Ennio Morricone
Costumi: Angela Sammaciccia
Produzione: Vera Film
Distribuzione: Euro International Film
Durata: 112 min.
Visto censura: 55475 del 6 febbraio 1970
Premi principali: Oscar miglior film straniero - Gran premio della giuria festival di Cannes
Trama: Poche ora prima del suo insediamento a capo dell'ufficio politico della questura di Roma, il capo della squadra omicidi (Volontè) uccide, dopo un gioco erotico, Augusta Terzi (Bolkan).
L'alto dirigente si prodiga a seminare ovunque le prove della propria colpevolezza. Vuole dimostrare a se stesso, ai propri colleghi e ai superiori che, in quanto rappresentante del potere, egli è al di sopra di ogni sospetto e di ogni possibile incriminazione.
Parlare di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" è esercizio difficile, specie se si decide di trattarlo tramite un blog.
Questo accade per diversi motivi: innanzi tutto perchè su "Indagine" sono stati già versati fiumi di inchiostro; e poi perché "Indagine" è stato studiato, commentato, vivisezionato ecc..
Perché allora imbarcarsi in tale difficile avventura? Sicuramente non perché chi scrive si senta custode di verità mai rivelate, o ancor peggio perché ha la presunzione di poter offrire nuove intrpretazioni o letture del film di Elio Petri.
Scopo di questo scritto è quello di evidenziare alcuni aspetti che a mio parere, contribuiscono in maniera determinante a fare di "Indagine" un capolavoro e di fornire delle piccole conoscenze in merito al cinema politico italiano, con particolare riferimento al cinema di Elio Petri.
Il tutto, nonostante le inevitabili lungaggini (il cortese lettore mi scuserà), cercherò di farlo nella maniera più sintetica possibile.
A Petri, secondo me, da parte di molta critica, non veniva perdonato il fatto di riscuotere un indiscutibile successo, e ciò era ritenuto "antirivoluzionario" dalla critica più militante, che attaccava il cinema di Petri muovendo rilievi politici. Questo tipo di attacchi si basavano quasi esclusivamente sulla spettacolarizzazione della lotta di classe.
In poche parole, a Petri veniva rimproverato di non curarsi troppo delle vere atrocità che i militanti subivano durante i fermi, gli interrogatori, gli scontri di piazza, e di darne una rappresentazione edulcorata e facilmente fruibile.
Dall'altra parte della sponda, si attaccava Petri accusandolo di confezionare film su misura per il pubblico di sinistra non propriamente militante, ma che guardava con attenzione e simpatia ai vari movimenti rivoluzionari.
Rarissimi, invece, sono gli attacchi prettamente riguardanti la cifra cinematografica del regista romano.
Questo ostracismo della critica dell'epoca ha portato, a torto o a ragione, a collocare Petri in quella categoria di registi politici alla quale veniva riconosciuto un certo merito autoriale (Damiani, Rosi, Lizzani, Wertmuller) ma che veniva puntualmente esclusa dalla ristretta cerchia dei grandi autori (Antonioni, Bertolucci e in parte anche Ferreri).
Il cinema politico italiano. Questo tipo di cinema può essere catalogato in quattro grandi tipologie;
1) Politico-militante: legato alle istanze dei movimenti di protesta studenteschi o operai. Spesso questo tipo di cinema aveva taglio documentaristico come Battipaglia, autoanalisi di una rivolta (Perelli 1970);
2) Politico-inchiesta: quello, per capirci, che si rifà a film come Il caso Mattei (Rosi 1972);
3) Politico-storico dove si effettua una critica o si offre una diversa lettura storica di particolari eventi come in Uomini contro (Rosi 1970);
4) Politico-denuncia: che si occupa di evidenziare corruzione o malaffare come Le mani sulla città (Rosi 1963) o ingiustizie subite dai cittadini causati da un esercizio poco democratico del potere, come ad esempio L'istruttoria è chiusa: dimentichi (Damiani 1971) o anche, con i dovuti distinguo, Detenuto in attesa di giudizio (Loy 1971).
Questa suddivisione tiene conto esclusivamente delle tematiche e dello sviluppo del racconto, ma le categorie citate si differenziavano anche per modalità e tecnica di ripresa; uso del sonoro ecc...
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Dal punto di vista del racconto "Indagine" si snoda come un giallo al rovescio: invece di procedere come un'inchiesta che porta alla scoperta del colpevole, la sceneggiatura prevede che lo spettatore venga subito messo a conoscenza dell'identità dell'assassino, riuscendo comunque a non fiaccare l'attenzione dello spettatore per diversi motivi:
1) Vero scopo di Petri è quello di descrivere l'uso del potere (della polizia) e l'omicidio è solo un pretesto;
2) Non si conosce il movente dell'omicidio, che viene svelato lentamente;
3) Seguendo l'insegnamento Hitchcockiano, Petri distriubuisce le conoscenze in maniera diseguale, cioè lo spettatore conosce fatti che i personaggi in scena non conoscono.
All'interno del cinema politico si è quasi sempre intrapreso un discorso didattico, indicando con precisione tutti gli elementi necessari per far giungere allo spettatore l'immancabile messaggio. Elio Petri, sceglie un percorso diverso, ricorre all'invenzione brechtiana e al grottesco, si muove in direzione dell'onirico e fa sbandare con immersioni kafkiane.
Ma la vera forza commerciale di "Indagine" si deve a cose piuttosto semplici, come la solidità narrativa; le straordinarie interpretazioni (Volontè su tutti, bravissimi Dominici e Rendine, senza dimenticare Salvo Randone); il vincolo tra sesso, politica e potere; e non ultimo il fatto che "Indagine" contiene i diversi codici che caratterizzano le varie tipologie di cinema politico, alleggeriti dall'obbligo di trasmettere il messaggio con modalità militanti.
Il successo-Fattori esterni. L'affermazione al botteghino (oltre a quella nei Festival) di "Indagine", oltre ovviamente alla indiscutibile bellezza della pellicola, è dovuta anche ad alcuni fattori esterni e coincidenze storiche.
Il film fu scritto nel 1968 e girato nel 1969. L'arrivo in sala nel 1970 è preceduto dalla strage di Piazza Fontana a cui seguirà la morte dell'anarchico Pinelli. Dopo queste tristi vicende fu inevitabile l'inasprisrsi degli scontri di piazza ai quali seguì una feroce repressione da parte dello Stato.
Il fatto che il film fosse in odor di sequestro alimenta ancor di più la curiosità del pubblico come conferma lo sceneggiatore Ugo Pirro "in attesa della decisione del magistrato che pochi pronosticavano a noi favorevole, la ressa ai botteghini aumentò..." (Il cinema della nostra vita - 2001).
Gian Maria Volontè. Perché un interpretazione perennemente sopra le righe di un un personaggio tipicizzato secondo i canoni della commedia è unanimemente considerata la più grande prova attoriale dell'immenso Gian Maria Volontè?
E' presto detto. Volontè non interpreta il dottore, Volontè diventa il dottore. Lo diventa e lo (re)inventa, coniando un modo di parlare (torneremo su questo argomento), di gesticolare, di sorridere, di pettinarsi che
richiamano alla memoria il classico funzionario ministeriale del sud italia che all'epoca affollava questure, prefetture, segreterie di ministri e direttori generali, molto spesso servo anestetizzato e cieco dello Stato che garantiva carriera, stipendio e come in questo caso, anche potere.
"Il personaggio del dottore assurge a dimensioni quasi metafisiche e finisce per assumere nel ghigno del sorriso, nello sprezzo dello sguardo, nella sicumera dell'incedere, nella violenza del gestire, nella sinuosità del persuadere, un significato più universale di quello che a prima vista potrebbe apparire.....Poche volte nel cinema recente abbiamo visto un attore plasmarsi alle necessità di un personaggio con tanta flessibilità mimetica e vocale" (Lino Micciché - Il cinerma italiano degli anni '70 - Marsilio Editore 1980).
Il dottore-Volontè è meridionale, ma in tutto il film non vi è chiara traccia della sua provenienza. L'unico, impalpabile, quasi invisibile indizio ci viene offerto a pochi minuti dalla fine del film, quando il protagonista è intento a preparare la valigia, sul muro alle sue spalle sono appesi in bella mostra dei tioli di studio. Su uno di questi attestati, per una frazione di secondo è possibile intravedere il nome della città di Messina, che potrebbe essere la sede universitaria o la città di nascita (molto più probabile la prima ipotesi).
Per questo motivo il lavoro sull'accento meridionale del protagonista è straordinario. Volontè inventa un accento che non esiste (il termine "marxista" diventa "marchesista"), che può essere classificato come accento meridionale, ma non riscontrabile nella realtà linguistica italiana.
Nella interpretazione di Volonté possiamo distinguere diversi livelli di recitazione:
1) Quando è protagonista assoluto della sequenza (discorso di insediamento - quando chiede informazioni su Antonio Pace), la voce è alta, decisa, il ghigno feroce, cattivo: "al gabbio, io ce lo mando!";
2) Quando impersonifica la faccia ipocrita e amichevole del potere: "Una bottiglia la facciamo aprire al dottor Panunzio"; Qui la maschera è completamente falsa e Volonté si impegna a farlo capire allo spettatore, le parole sono confidenziali, ma l'aria che si respira è piuttosto pesante;
3) Quando finge umiltà: "con modestia, con modestia...al lavoro, al lavoro", Qui il tono si fa meno impostato, la parola non è mai scandita, l'espressione è sommessa;
4) Quando viene toccato sul nervo scoperto. "rilasciatelo, rilasciatelo..non è niente, rilasciatelo" - " E non mettermi le mani addosso..non mettermi le mani addosso" urla, isterismo, ripetizione della frase, l'uomo che si fa bambino, il potere sottratto.
Esempio lampante di quanto sopra descritto è la sequenza dell'interrogatorio all'ex marito della Terzi: "per me è innocente...per me è innocente", la prima volta pronunciato con tono ironico accompagnato da un sorriso e con il gesto di sistemarsi i capelli, come a voler imitare il sospettato ricchione (nel film, con realistico linguaggio questurino non è mai omosessuale, è sempre frocio o ricchione), la seconda pronunciata con fermezza e con una espressione che gela il sangue ai colleghi e che oltre a dare la soluzione agli "esperti" della omicidi, è nel contempo, disprezzo assoluto verso la loro incapacità di gestire un interrogatorio e giungere rapidamente ad una conclusione. Tutto questo avviene in meno di un secondo. Volonté cambia tono, espressione, si fa maschera, il gesto e la parola vengono spinti all'estremo.
In definitiva si può affermare che la prova di Volonté in "Indagine" è praticamente perfetta, grazie alla propria bravura riesce a rendere credibile quello che credibile non è, mettendo in scena una "perversa caricatura del meridionalismo funzionariale dell'amministrazione dello Stato" (cit. Petri).
Le parole. Trovo particolarmente interessante analizzare alcuni passaggi del film attraverso le parole pronunciate dai personaggi, per cercare di spiegare alcuni meccanismi che la pellicola di Petri innesca quasi sottovoce, portando (a mio parere) lo spettatore in certi casi ad abbracciare alcune posizioni, in altri a comprendere aspetti non proprio chiarissimi riguardanti le dinamiche all'interno della questura, quanto del movimento studentesco.
Questa frase, pronunciata dal personaggio interpretato da Volontè, dovrebbe suonare piuttosto strana.
Infatti, mentre il dottore vive in una casa moderna, delimitata da ampie vetrate e dall'arredamento scarno, l'architetto invece è noto per la propria ecletticità e le soluzioni azzardate (questo pensiero è indotto dall'omosessualità dell'ex marito della Terzi).
Da questa frase si possono trarre due conclusioni: che il poliziotto conosce molto bene i meccanismi mentali dell'interrogato e cerca di conquistarne la simpatia, e in questo caso poco aggiunge alla conoscenza dello spettatore, che a questo punto del film ha già capito bene quanto preparato professionalmente sia il dottore-Volontè oppure, in contrasto con l'arredamento di casa propria evidenzia una preparazione in materia che poco si addice ad un grigio funzionario dello Stato, alimentando la voglia dello spettatore di scoprire altri aspetti del dottore-Volontè.
2) Dopo una retata decine di giovani militanti sono rinchiusi nelle celle sotterranee della questura, il dottore si reca in visita accompagnato da un funzionario che dice: "Vede dottore, nemmeno la galera li unisce. in due ore si sono già spaccati in quattro gruppetti..." Questa frase, pronunciata fuori campo e con un sottofondo di urla, quindi con il concreto rischio di essere snobbata dallo spettatore, ha un doppio compito: il primo è quello di evidenziare come all'interno del movimento rivoluzionario ci siano diverse fazioni, che ne minerebbero la presunta unità (questo particolare non credo fosse chiarissimo al cittadino medio, spettatore del notiziario rai), il secondo rappresenta un grido d'allarme da parte di chi il movimento deve affrontarlo per le strade e nelle università e combatterlo, in quanto una vera unità di intenti del movimento renderebbe difficilissimo se non impossibile il lavoro delle forze di polizia.
3) Passiamo ora ad analizzare il chirurgico discorso di insediamento a capo dell'ufficio politico del dottore-Volontè.
"Tra i reati comuni e i rati politici sempre più si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a scomparire. Sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo, sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale. nella città che ci è stata affidata in custodia, sovversivi e criminali hanno già steso i loro fili invisibili che spetta a noi di recidere. Che differenza passa tra una banda di rapinatori che assaltano un istituto bancario e la sovversione organizzata, istituzionalizzata, legalizzata. Nessuna. le due azioni tendono allo stesso obbiettivo sia pure con mezzi diversi, e cioè al rovesciamento dell'attuale ordine sociale"
In questa parte del discorso troviamo il ribaltamento del modo di vedere e interpretare l'azione illegale propria dei movimenti rivoluzionari.
Mentre per i militanti di organizzazioni extraparlamentari, anarchici, che aderiscono senza dubbio alcuno alle teorie complottistiche, l'azione illegale, qualunque essa sia anche quella etichettabile come reato comune, ha una valenza politica, dal discorso del dottore-Volontè emerge che, al contrario, ogni azione terroristica o dalla portata sovversiva va trattata come un "semplice" gesto criminale.
Questo concetto ha il doppio scopo di depotenziare la propaganda militante e allo stesso tempo invitare i colleghi funzionari di polizia a non riconoscere nessuna dignità politica al militante rivoluzionario, riservando loro lo stesso trattamento riservato ai delinquenti comuni. Un discorso che nell'economia del film ha il subdolo scopo di umiliare i colleghi, (che il dottore-Volontè ritiene non degni di rappresentare lo Stato come evidenzia in altre parti del film; "burocrati" "questurini") servendo loro un piano di semplice applicazione, ma del quale non sono capaci di comprendere le finalità politiche.
"L'uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite. l'uso della libertà che tende a fare di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di esercitare le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi, il dovere di reprimere. la repressione è il nostro vaccino. Repressione e civiltà".
La seconda parte del discorso ha lo scopo (nel film) di riconoscere ai subalterni un ruolo determinante che in realtà non hanno.
L'uso del plurale e di termini come "altri" e "qualsiasi" sono il veicolo che il dottore-Volontè utilizza per compattare le proprie fila ed infatti il discorso termina con applausi e urla di approvazione.
Nel rivolgersi al pubblico, invece, un discorso di tale violenza reazionaria, (non è un caso che nel discorso faccia capolino un perentorio "A Noi") non può che scatenare indignazione, e quindi in un momento cruciale della pellicola sposta le simpatie del pubblico verso il giovane sospettato dell'omicidio.
Il grottesco. Che "Indagine" sia un film che vira sul grottesco e sull'onirico non vi è dubbio e lo abbiamo già detto.
C'è però del grottesco poco palpabile che riguarda arredamento ed ambienti.
Casa della vittima. L'appartamento è situato a piano terra, a livello della strada, ci si aspetta che da un momento all'altro qualcuno dalla strada guardi all'interno.
Eppure nell'appartamento si consuma un feroce delitto, si susseguono giochi erotici, falsi interrogatori a voce alta, percosse, come se si trattasse della più riservata delle case.
Qualcosa non torna.
Ufficio del Questore. L'eccessiva luce, l'ambiente rarefatto già nella sala d'attesa è un chiaro messaggio del regista: si sta per accedere nella stanza del potere inattaccabile, nella stanza di "dio", ed infatti prima dell'ingresso del dottore-Volontè, ne esce un prelato.
L'ufficio è immenso, chiaro, lindo, eccessivamente luminoso, i quadri alle pareti non hanno cornice e non hanno nulla di ufficio ministeriale, sembrano provenire da una collezione privata.
In fondo alla stanza una grande scrivania dove troneggia il Questore, alla propria sinistra, come un pugno in un occhio, una teca con vasi antichi degna di un museo. Anche qui, l'incongruenza è evidente.
L'omicidio ha un chiaro elemento scatenante: "si prendeva gioco di me".
Come? Probabilmente anche tramite la contemporanea relazione con il giovane Pace.
Ad una prima lettura si potrebbe ridurre tutto allo scontro politico poliziotto-rivoluzionario, ma non è cosi.
Sono altri i terreni di scontro tra i due antagonisti.
Esiste lo scontro in campo sessuale; non solo dovuto alla differenza di età, ma anche sul diverso modo di interpretare il sesso: "fai l'amore come un bambino" dice la Terzi-Bolkan rivolgendosi al dottore-Volontè, mentre il giovane Pace incarna la virilità rivoluzionaria e il vigore della gioventù.
Esiste lo scontro in campo sociale; il dottore è espressione della piccola borghesia meridionale che in quegli anni rimpolpava i ministeri che offrivano possibilità di carriera insperate per chi proveniva da una porzione di Italia priva di industrie o imprenditoria di grande livello. Pace invece, non solo è settentrionale (Ravenna) ma incarna sino in fondo lo spirito avventuristico e la speranza di un futuro migliore (ha abbandonato gli studi universitari e punta tutto sulla rivoluzione che cambierà le cose). La sicurezza ecconomica e il potere conferito dallo Stato contrapposta a chi lo Stato lo vuole abbattere.
Il finale. Il film si chiude con una serranda che si abbassa, la mdp è fuori dall'appartamento e non potrà mai raccontarci quello che accadrà all'interno.
Quello che si è visto è accaduto davvero?
Si tratta di realtà o di un sogno?
Come andrà a finire?
Il finale aperto di "Indagine" è la mazzata definitiva che Petri infligge allo spettatore, facendolo precipitare nello sconforto, paventando l'ipotesi che oltre la serranda, al chiuso di quella stanza, il potere si autoassolva.
Fabrizio Luperto