Quando è stato? Dal 1960 ad oggi, dov'è che ti ho perso di vista e ti sei smarrito, piccolo Pollicino? Guardo nel mio cuore e nei ricordi come in una casa e spalanco armadi, credenze, mi chino sotto i letti dove morbidi riccioli di polvere si rincorrono, apro scatole con i cambi di stagione e tiro giù pile di libri che creano colonne e corridoi. Di te non c'è traccia.
Sei nato tardi, quando ormai nostra madre si vergognava di una gravidanza estrosa e in una fotografia la sua pancia è nascosta dietro un paracarro di marmo davanti la chiesa di Santa Maria Maggiore, e ancora piccolo ti teneva per mano pensando di essere scambiata per tua nonna.
Era leggiadra nostra madre, un sorriso dietro l'altro, alcuni malinconici, ma che presto si schiudevano in risate piene, quasi sempre nella cucina assolata dell'ultimo piano. Cantava con la sua voce afona i brani lirici della sua infanzia, quella all'ombra di un padre spavaldo, direttore d'orchestra.
Era mite, mai una parola fuori luogo, mai un'intromissione nelle nostre vite, un tacito assenso per le sue creature come forma di rispetto verso gli adulti che eravamo diventati, te compreso, senza capire che tu eri un eterno ragazzo. Debolezza di una genitorialità tardiva, troppa indulgenza, un danno che non hai saputo riparare.
Allora fratellino, dove e quando ti sei perso? In che momento hai cominciato ad apprezzare il conformismo, il perbenismo, il qualunquismo? L'abito con giacca e cravatta per l'uomo e il tailleur adornato da una spilla per la donna? Quando il tuo travestimento ti si è appiccicato alla pelle per essere accettato da una famiglia ingessata? Quando hai iniziato a mentire per non trascorrere più una festa, prima con i nostri genitori e poi con le tue sorelle? Quando, a nascondere quella pallida idea politica di democrazia, per andare a votare il gran puttaniere, pur di compiacere la nuova famiglia?
Sai, ho visto delle foto in cui c'eri tu con una giacca che ti stava malissimo, accanto a tua moglie e ai tuoi figli, al tuo "unico" cognato (fratello di tua moglie naturalmente), ai tuoi suoceri (unici nonni dei tuoi figli naturalmente), festeggiando nell'unico modo banale e scontato i 18 anni della tua pargoletta. Sembravi un povero orfanello, per la precisione Bob Cratchit, il vessatissimo impiegato di Racconto di Natale di Dickens. Fagocitato da una famiglia Scrooge al completo.
Dove sono le tue battute che ci facevano ridere fino alle lacrime? Dov'è lo zio tanto amato dai tuoi nipoti, e sono tanti, in quale cespuglio di ortiche hai gettato la tua vita? Quale canto di sirena ti ha fatto naufragare nell'isola che tu, abbagliato, vedi piena di monete d'oro e fiumi di miele, e in realtà è una landa desolata dove a stento crescono ciuffi di spine?
Io, come nella romanza della Butterfly, che mamma accennava con gli occhi lucidi, canto:
Un bel dì vedremo
levarsi un fil di fumo sull'estremo
confin del mare
e poi la nave appare...
Tutto questo avverrà, te lo prometto.
Tienti la tua paura. – Io con sicura
fede lo aspetto...