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Dove le vipere cadono dal cielo / 2 < il seguito del racconto>

Creato il 12 gennaio 2011 da Fabiocasa
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Finalmente arriva il sabato mattina.
Preparo con molta attenzione lo zaino; esco che il sole è appena sorto.
Dopo venti minuti mi ritrovo con l’amico a fare colazione in un piccolo bar sulla strada per l’alpe Ompio.
Le emozioni corrono, come la macchina che risale a fatica i tortuosi tornanti che ci separano dalla più grande avventura della nostra vita.
Sono debitore verso di lui e forse verso tutti coloro che ancora non conoscono le leggende della Val Cavrì di quanto mi è stato raccontato dieci anni prima dalla vecchia memoria. Devo trovare la forza di iniziare.
Alla fine del 1800, quando ancora non era sorta la prima alba del novecento, le poche persone che caricavano gli alpeggi di quella strana valle la abbandonano d’improvviso.
Quale era stato il motivo di tale fuga?
Un mattino di fine estate i genitori si vogliono assicurare che il loro bimbo, da poco venuto alla luce, stia bene; si dirigono verso la piccola culla di legno che hanno da poco costruito con gioia e fatica, guardano il viso rilassato del neonato e sognano per lui una vita diversa rispetto a quella che gli possono garantire.
Spostano le copertine e con raccapriccio trovano una vipera attorcigliata intorno alla piccola caviglia. Spostano il serpe con un lungo bastone di legno stando attenti a non spaventare l’essere maligno, lo adagiano in un sacco, che avevano predisposto per la raccolta dei funghi, e con grande sollievo non trovano morsi di vipera sul corpo dell’inconsapevole bimbo. Escono di corsa dal casolare ed avvisano gli altri alpigiani.
La decisione che potevano prendere era una sola: abbandonare per sempre quei magri pascoli.
In breve tempo si allontanano da quel posto senza rimpianti.
Siamo ormai in vista del parcheggio dove lasciare l’autovettura.
Il sole sta combattendo la sua personale battaglia con il bosco.
Nel viso del mio amico non trovo più la tranquillità della settimana precedente: saranno anche leggende di montagna, ma le leggende cosa sono se non storie vere trasformate dal passare degli anni?
Lasciamo i comodi sedili dell’auto ed iniziamo a camminare in una sorta di silenzio voluto.
Dopo circa due ore di cammino siamo in vista delle prime baite di Corte Buè: possiamo riposarci qualche minuto prima di imboccare il sentiero per Orfalecchio. Ci sediamo su un masso che sporge dalle rovine di un casolare invaso dai castagni tornati padroni di quella zona dimenticata, così vicina ma anche così lontana da tutto quello che per noi rappresenta la tranquillità della vita quotidiana.
Dopo qualche risata ed una buona sorsata di acqua fresca decido di fare delle fotografie. Il luogo è magnifico: una novella Atlantide dove si ritorna ai silenzi primordiali, agli spazi incontaminati.
Riprendiamo il cammino verso la nostra meta, facendoci largo tra gli arbusti cresciuti troppo in fretta a causa delle abbondanti piogge di quella strana estate tropicale.
Ma cos’è successo agli alpeggi della val Cavrì dopo l’abbandono da parte di coloro che la caricavano?
Nei giorni seguenti la notizia era circolata per tutta la Valgrande. Molti boscaioli, che lavoravano poco distante, si erano rifiutati di risalire il crinale della montagna per raggiungere quel luogo ormai maledetto.
Ma coloro che gestivano il taglio ed il trasporto del legname nei pressi di Orfalecchio erano ingolositi da quella valle lasciata libera a causa di una piccola vipera. Assoldano qualche lavorante per disboscare quella lunga lingua di terra. Non sanno ancora cosa gli aspetta.

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