di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario
In un recente articolo, Michele Forastiere ed io abbiamo calcolato la probabilità che una proteina si sintetizzi per caso: P « 10-100, come dire che l’eventualità appartiene al regno umbratile del paranormale. L’irrealizzabilità è confermata da Richard Dawkins, che nel suo best seller “L’orologiaio cieco” (1986) dà per l’emoglobina P ≈ 10-190. Per una cellula, il numero precipita: P < 10-40.000. Per gli organismi viventi più complessi poi, la matematica ricorre a potenze di potenze: perché infatti in un organismo appaia un nuovo organo, è necessario che innumerevoli giuste combinazioni conferiscano simultaneamente a più geni i caratteri complementari necessari ad esercitare la nuova funzione; che il nuovo organo sia coordinato con il resto dell’organismo, cioè che la sua funzione sia integrata a quelle correlate di altri organi; che in sincronia nuovi sistemi di regolazione capaci di assicurare il corretto funzionamento di tutti gli organi appaiano nell’organismo…, e le improbabilità si moltiplicano ogni volta.
Come si pongono i mezzi “ufficiali” d’istruzione e informazione di fronte al problema dell’origine della vita e delle specie sulla Terra? Anziché dire i fatti, che sono: “60 anni di studi ed esperimenti in biologia molecolare ci hanno fatto avanzare solo nella percezione dell’immensità del problema. Oggi sappiamo che neanche la cellula più semplice può sorgere per caso. L’origine della vita e delle specie è un problema ancora senza soluzioni in vista”; invece di ciò, l’apparatcik accademico e mediale proclama: “La vita è sorta sulla Terra dalla materia inanimata, circa 3 miliardi di anni fa, in seguito ad un processo evolutivo di qualche tipo. Con altre mutazioni poi, ogni specie vivente si è evoluta dalle precedenti in un processo culminato nella specie umana”. Il lieto annuncio, però, non è supportato da alcuna evidenza diretta; è irriso da paleontologia, statistica e fisica; non rispetta neanche i canoni scientifici. È solo la foglia di fico dietro cui l’arroganza cela la sua ignoranza.
Togliamo subito un equivoco sulle “mutazioni”. Nessuno dubita delle micro-variazioni di DNA, dove la selezione naturale causata dai vantaggi competitivi cumulativamente ottenuti in modi contingenti o la selezione artificiale operata in modi intelligenti dagli obiettivi economici degli allevatori, inducono cambiamenti stabili all’interno della stessa specie: questa è scienza o tecnica genetica, almeno a partire dall’abate G.J. Mendel, e riguarda il mimetismo criptico della Kallima paralekta come la dolcezza vellutata dei piselli odorosi o l’abilità venatoria dei setter inglesi o l’aromatica succosità delle renette della Val di Non (nonché le proprietà di 4 ceppi di OGM vegetali). No, qui si discute di evoluzione da una specie ad un’altra e si vuol capire se la selezione naturale invocata dal darwinismo possa bilanciare la scientifica impotenza del caso ad integrare la serie delle micro-evoluzioni nel DNA necessarie a comporre una macro-mutazione interspecifica. Mi baserò sulla descrizione del meccanismo proposta dal più famoso dei neodarwinisti nel cap. 3 del libro su citato, traducendo con parole mie dall’edizione inglese. Ringrazio Enzo Pennetta che mi ha illuminato con un suo articolo.
Per simulare il processo stocastico di produzione di un piccolo segmento di DNA, Dawkins narra di aver messo davanti alla figlia di 11 mesi, “nel ruolo di perfetto dispositivo simulatore del caso”, una tastiera semplificata di 27 caratteri: le 26 lettere inglesi, senza distinzione di maiuscole e minuscole, e lo spazio per separare le parole. Poi ha atteso che la bimba, battendo le manine sui tasti, riuscisse a digitare un verso di Shakespeare di 28 caratteri: METHINKS IT IS LIKE A WEASEL. Ripartita la striscia di caratteri battuta dalla neonata in stringhe di 28 caratteri, ne sono sortite le “frasi”:
UMMK JK CDZZ F ZD DSDSKSM;
S SS FMCV PU I DDRGLKDXRRDO;
RDTE QDWFDVIOY UDSKZWDCCVYT;
H CHVY NMGNBAYTDFCCVD D;
RCDFYYYRM N DFSKD LD K WDWK;
HKAUIZMZI UXDKIDISFUMDKUDXI
dove si capisce che siamo lontani dall’aver centrato il bersaglio. D’altronde, non si può pretendere che una bambina (seppure dal corredo genico almeno per metà darwinista…) indovini il verso giusto quando le combinazioni sono 2728 ≈ 1040! “Servirebbe molto tempo per ottenere la frase che cerchiamo, per non parlare di battere a macchina le opere complete di Shakespeare [corrispondenti all’intero DNA]”, sbotta Dawkins. Qui interrompo il quadretto familiare per fare 3 correzioni, perché in cose di scienza vale la misura che è un numero controllabile, più che l’aggettivo che è un’entità non falsificabile.
1: non servirebbe “molto” tempo, ma un dispendio di materia-energia e di spazio-tempo estremamente superiore alle risorse terrestri. Anche mettendo al lavoro un esercito di 10 miliardi di scimmie, al ritmo stakanovista di 10 battute al secondo, per battere un solo verso di Shakespeare servirebbero circa 1020 anni, che è un tempo 20 miliardi di volte maggiore dell’età della Terra.
2: per centrare l’opera omnia di Shakespeare, che è composta di 118.406 versi, le combinazioni esplodono a ~105.000.000 e il dispendio fisico diventa estremamente superiore alle risorse dell’intero Universo.
3: l’informazione contenuta nel genoma umano è calcolata intorno ai 1.200 MB, quindi 3-400 volte superiore a tutto Shakespeare, e voliamo alle potenze di potenze: ~10(10^9).
Ma non è con questo meccanismo del puro caso (“selezione a singolo passo”) che procede l’evoluzione, c’istruisce papà Richard: “Neanche la costruzione casuale della sola emoglobina è immaginabile, se già per questa molecola il numero delle combinazioni è 10190! E che dire di un intero organismo?” No, il meccanismo dell’evoluzione che sconfigge l’improbabilità rendendo la speciazione una necessità è la “selezione cumulativa”, ovvero “una selezione con setaccio ad ogni singolo passo. […] Senza questa scoperta, servirebbe un Creatore e l’ateismo sarebbe irragionevole; con essa invece, l’ipotesi Dio è superflua”, ci spiega in un audace raid teologico OT. Per spiegare come funziona il setaccio neodarwiniano nel DNA che scarta le combinazioni “senza senso”, Dawkins parte da due fenomeni di fisica: l’ordinamento trasversale dei sassolini in spiaggia secondo la loro massa e le velocità di rivoluzione dei pianeti. Una tribù primitiva potrebbe attribuire il primo evento “all’intervento di un grande spirito del cielo”, ma noi, “sorridendo con superiorità davanti alla superstizione”, sappiamo che si tratta soltanto di un meccanismo fisico “cieco” provocato dalle onde, il cui impulso ha separato i ciottoli più massicci dai più leggeri. Altrettanto cieca è, per Dawkins, la legge fisica che filtra le velocità dei pianeti compatibili con i raggi delle loro orbite, impedendo loro di precipitare sul Sole o di allontanarvisi indefinitamente: “Miracolo? disegno provvidenziale? Macché, solo un altro filtro naturale”.
Idem per la vita. Qui lo zoologo di Oxford riprende la simulazione di centrare il verso di Shakespeare, usando però stavolta il suo pc. La figlia che cosa faceva? Batteva a caso i tasti e così imitava la genesi del DNA con la selezione a singolo passo. Il computer invece è stato programmato per simulare la vera selezione naturale. Come? Attenzione! Dopo essere stato inizializzato con una sequenza casuale di 28 lettere, “riproduce la frase iniziale in tante copie, con una certa probabilità di errore casuale (mutazione) nell’operazione di copiatura. Poi, controlla le frasi mutanti (figlie dell’originale) e sceglie quella che somiglia di più, anche di pochissimo, alla frase-obiettivo, METHINKS IT IS LIKE A WEASEL”. Partendo dalla frase selezionata, “la routine è ripetuta: nascono nuove figlie mutanti, e [tra quelle che più somigliano all’obiettivo] viene scelta una nuova vincitrice. E così via, di generazione in generazione”. Questo è il vero modo di agire della selezione naturale, conclude Dawkins, con l’annuncio trionfante che “con tale procedura” in un centinaio di “generazioni” al massimo, in tempi “compresi tra 11 secondi e la durata di un pranzo”, il pc gli restituiva il verso di Shakespeare da qualsiasi stringa esso fosse stato inizializzato.
Confesso, cari lettori: quando nei giorni scorsi ho letto il modello di Dawkins della speciazione e di come la cosiddetta selezione naturale, in maniera cumulativa, setaccerebbe dall’infinita pletora delle variazioni possibili quella “più simile all’obiettivo”, un bit alla volta, non credevo ai miei occhi e mi dicevo: ma questo è Intelligent Design (ID)! Una cosa infatti è un selettore cieco come nella Farfalla Foglia, che con micro-mutazioni casuali agisce a posteriori sotto la spinta della lotta per la sopravvivenza e in cui la teleonomia di un adattamento lepidottero coincide con la nostra interpretazione ammirata del suo lavorio cumulativo; altra cosa, anzi l’opposto, è un selettore lungimirante, che a priori progetta la macro-modifica necessaria per trasformare una specie in un’altra, memorizza l’“obiettivo”, dalla specie di partenza filtra le variazioni secondo la loro conformità al suo fine e in cui, quindi, la teleologia è la giustificazione del divenire! E, incredulo, mi sono letto e riletto il mito narrato in un libro di divulgazione “scientifica”, che è stato venduto in tutto il mondo in milioni di copie, ha procurato al suo autore onorifici titoli e prosaiche royalties e che, secondo quotati opinion maker, avrebbe relegato la Genesi biblica ad una favola per gli asili nido. Ma la spiegazione finalistica, sedicente scientifica, dell’origine delle specie stava lì, nelle pagine impresse col piombo della rinomata casa editrice W.W. Norton & Co. di New York e Londra. Questo sarebbe dunque “il libro che più di ogni altro ha fatto capire ed accettare la biologia evolutiva a livello globale” (J. Maynard Smith, biologo e genetista con 6 medaglie internazionali in scienze biologiche nel suo palmarès)? tutta qua “la più vigorosa difesa del darwinismo mai pubblicata dopo il 1859” (The Economist)?
Se col suo software Dawkins ha ottenuto una volta il verso di Shakespeare “in 11 secondi dopo sole 43 generazioni”, io sono più bravo: ho scritto un programma in Basic per averlo entro un massimo di 28 generazioni in una frazione di secondo da qualunque stringa di partenza! Come l’ID, il meccanismo della selezione naturale nella graduale costruzione e diversificazione della struttura del DNA non è scientificamente accettabile, perché – come sa ogni studente delle medie – la scienza moderna esclude per statuto l’intenzionalità in Natura e ne ricerca il funzionamento riducendo i fenomeni a poche assunzioni (in fisica, sotto forma di equazioni matematiche: la seconda legge della meccanica per i sassolini, quella di Newton per le rivoluzioni planetarie), col follow up di predizioni controllabili ed il fallout di applicazioni tecnologiche. Questa è la differenza tra scienza e mito! Nessuna meraviglia, quindi, se come quelli della Sibilla cumana (ibis redibis…) gli oracoli darwiniani non sono né falsificabili (essi si adattano ad ogni evidenza come all’opposta), né utili (ricadute tecnologiche zero). Finché la teleonomia degli organismi viventi non sarà ricondotta ad assunzioni preterintenzionali di fisica (e in questa direzione già si muovono alcune avanguardie di biologi e fisici con le poche risorse non assorbite dalla pseudoscienza della Sintesi postmoderna), l’origine delle specie che gremiscono la Terra resterà un mistero.
Epilogo. 20 anni dopo “L’orologiaio cieco”, Dawkins butta nel cestino l’altro mito della biologia ufficiale (l’abiogenesi da “molecola autoreplicante”), narrato in un altro suo libro. Sorridendo al ricordo dei milioni di sterline guadagnate, riconosce che nulla sappiamo di come la vita abbia avuto origine sul nostro pianeta e si rifugia nella panspermia, un racconto “nuovo” (nel senso di “diverso”, perché quanto ad originalità l’idea risale almeno ad Anassagora, V sec. a.C.), secondo cui la vita sarebbe stata portata sulla Terra da progettisti intelligenti di galassie lontane: incontra così un’altra volta gli aborriti creazionisti nel Disegno, se non nella natura del Disegnatore. Più di recente, realizza che la panspermia sposta solo il problema da un pianeta ad un altro e trova pace nel multiverso degli infiniti mondi di Alice, dove tutto è possibile. Fuorché, ancora, un discorso scientifico.