Dal 22 al 27 Maggio, nella cornice del teatro Agorà di Roma e in collaborazione con l’associazione capitolina Extravagarte, Giancarlo Moretti ha portato in scena il suo ultimo spettacolo, ambientato in un salotto spoglio dove il tempo sembra essersi arrestato. Ricoperti da anonimi teli bianchi, inquietanti come fantasmi, stanno addormentati i mobili di un’altra epoca a fare da cornice a quello che rimane delle memorie di un vecchio (Piero Nicosia). Un inconcludente giovinastro di quarant’anni (Marcello Mancusi) si occupa di lui a pagamento: gli dà da mangiare come si fa con i cani al guinzaglio e lo coinvolge in discussioni che riecheggiano atmosfere beckettiane. Smarriti di fronte a interrogativi esistenziali, entrambi non trovano senso nella vita: il primo lo ricerca dentro slogan vuoti che inneggiano al divertimento omologato, fatuo e illusorio e alla giovinezza, come fosse una divinità da celebrare. Per il secondo, che ricorda, nella postura, il leader democristiano così come immortalato nell’immagine diffusa dalle BR nei giorni della prigionia, la dimensione del tempo si è arrestata e con essa il pensiero, perchè pensare vuol dire avere un futuro.
Il trillo inatteso del campanello introduce sulla scena una nota di colore: nella stanza si fa largo una vispa prostituta (Maria Bighinati) interessata, come si conviene, più ai soldi che all’amore. La donna incarna l’immagine di un femminile in stridente contrapposizione con quella che anima i ricordi del vecchio e che viene invocata nei momenti di solitudine a lenire lo spirito avvilito. Moretti sembra voler delineare due modelli di coppie che attingono a sistemi di valori molto distanti tra loro, espressi attraverso registri linguistici differenti.
La casa come simbolo di stabilità e il tempo sembrano essere i fils rouges di questa storia dal finale inaspettato e che appare il ritratto di una condizione esistenziale di solitudine in cui domina il primato dei beni materiali sopra tutto. Man mano che la vicenda si dispiega e vengono introdotti sulla scena i personaggi femminili, le parole, che inizialmente risuonano vuote, vanno via via acquisendo spessore e significato, trasformandosi in entità tridimensionali dilatate dalla dimensione del tempo.
Nell’intento che Moretti sembra perseguire, e che appare molto diffuso tra gli autori teatrali contemporanei, di raccontare le criticità dei rapporti umani, traspare dal testo una lieve preoccupazione che il messaggio ultimo dello spettacolo giunga a destinazione, con il rischio, però, di una sottolineatura di troppo nelle battute che invece, forse, sarebbero potute essere più efficaci all’interno di un testo più snello e asciutto.
Manuela Materdomini