Scollinare. Risalire. Ridiscendere.
Mani sui rami, tronchi. Rumore del loro spezzarsi.
Suole che scivolano, gambe che faticano su terreni rividi, impervi.
Freddo tagliente. Sempre.
Pioggia incessante. Spesso.
Sono giorni così, dove fuori piove ma piove anche un po’ dentro di noi. Non resta che scuotersi, e camminare, verso il prossimo obbiettivo segnato sulle mappe. Raggiungere la quota indicata, il sentiero tracciato.
E poi bussare, forte, contro ogni porta di ogni casa all’apparenza inanimata. Disabitata. La speranza è quella che chi ci debba sentire, da dentro, lo possa fare e quindi, in qualche modo, rispondere.
Batti un colpo, Yara. Sei ci sei. Se sei viva.
La speranza è sempre più flebile, una fiammella sopra la brace appena tiepida. Il morale che scende, verso il basso. Giù.
Gli occhi scrutano, indagano e cercano ma non trovano. Non sanno cosa cercare ma sanno che devono trovare. Qualunque cosa, un segno della speranza. Un indizio di vita. Perciò ce la mettono tutta, la motivazione nei riflessi dell’iride, e tutt’intorno.
Fanno quello che possono ma maledizione, non è scattata la scintilla. Almeno per ora, non scatta.
Sono giorni che non si accende quella maledetta luce. E più passano le ore, e più fuggono le idee verso trascinando verso la tagliola l’ottimismo sopravvissuto sino ad ora.
Dove sei piccola? Noi ti pensiamo. Per dovere ma anche per amore. Per sentimento.
Ti pensiamo adesso ma anche domani sarà lo stesso. Per ora il tuo sembra un destino ineluttabile e purtroppo inenarrabile. Speriamo ancora per poco.
Possiamo solo perorare e fare del nostro meglio.
E mandarti una carezza. Dal cuore.
Pregando Dio. Affinché te la faccia arrivare sulla guancia. A modo suo…
Mia lettera pubblicata il 20.10.2011 da l’Eco di Bergamo