di Michele Marsonet. Quando nel nostro Paese si parla di India a tutti vengono in mente i due marò del San Marco, prigionieri nella grande nazione asiatica da più di tre anni (anche se Massimiliano Latorre è rientrato per curarsi dall’ischemia che lo aveva colto). Il caso ha suscitato scalpore pure a livello internazionale, ma l’intervento dell’Unione Europea è stato – almeno finora – del tutto inefficace.
Le autorità governative di New Delhi hanno sempre rifiutato di attribuire alla vicenda una colorazione, per così dire, “politica”, ribadendo più volte che se ne sta occupando la magistratura locale senza alcuna interferenza esterna.
Il problema è che i tempi dei giudici indiani paiono essere biblici, al punto che i nostri – non certo noti per la loro rapidità nello sbrigare le cause – al confronto paiono dei fulmini di guerra. Tuttavia alleggia da tempo il sospetto (per molti una certezza) che quello giuridico sia soltanto un paravento, dietro il quale si celano ben altre motivazioni.
Quali siano – o possano essere – è presto detto. L’India, un vero e proprio subcontinente e seconda nazione più popolosa al mondo dopo la Cina, è diventata a tutti gli effetti una grande potenza. Fa parte del gruppo dei Brics dove ha un ruolo di rilievo, e la sua crescita economica ha conosciuto ritmi prima inimmaginabili, tanto che l’aumento costante del PIL minaccia ormai il primato cinese.
E’ pure una potenza atomica che spende somme rilevanti per le forze armate, e viene corteggiata da più parti per attirarla in questa o quella sfera d’influenza. Regge ancora il rapporto privilegiato con la Russia in funzione anti-cinese, ma negli ultimi tempi Pechino e New Delhi parlano sempre più spesso in modo diretto, coscienti che a entrambi giova migliorare le relazioni bilaterali.
L’ascesa al governo di Narendra Modi, capo di un Partito del Popolo di forte tendenza nazionalista, ha incrementato ancor più gli atteggiamenti da grande potenza e, soprattutto, l’esaltazione dell’identità culturale indù, che il Partito del Congresso di Sonia Gandhi cercava invece di frenare. Non si dimentichi, tra l’altro, che l’Unione Indiana è il terzo Paese al mondo per consistenza della popolazione musulmana, dopo Indonesia e Pakistan.
Recentemente il celebre economista e filosofo indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, ha denunciato il crescente nazionalismo nel suo Paese dimettendosi dalla carica di “chancellor” della Nalanda University. Sen ha fatto capire chiaramente che l’attuale governo di New Delhi non vede di buon occhio l’influenza di culture “straniere” in ambito accademico (e non solo). Avendo studiato e insegnato negli Stati Uniti, la sua impalcatura concettuale è di derivazione analitica, assai dissimile dal pensiero tradizionale di una nazione che, com’è noto, ha radici antichissime.
La suddetta esaltazione del fattore identitario è destinata a pesare parecchio sul futuro indiano. E mette pure conto notare che, spesso in contrapposizione evidente con la diffusione del fondamentalismo islamico, non è neppure un caso isolato. I cinesi stanno tornando alle radici della loro cultura rivalutando in particolare, e in grande stile, la filosofia confuciana. Nelle nazioni in cui prevale il buddhismo, cultura e filosofia che dovrebbero per definizione essere pacifiche, il rafforzamento dell’identità locale ha condotto a campagne costellate da episodi di violenza, per esempio in Birmania (o Myanmar che dir si voglia) e in Thailandia.
Nel contesto indiano alcuni settori del partito nazionalista di Modi non si son fatti scrupolo di tessere le lodi del fanatico indù che nel 1948 assassinò il Mahatma Gandhi colpevole, secondo la fazione radicale cui apparteneva il killer, di favorire troppo il dialogo con i musulmani.
I marò si sono quindi trovati in due situazioni diverse. In un primo tempo la leadership dell’italiana Sonia Gandhi, vedova di Rajiv, destava il sospetto di favoritismi nei confronti dei nostri militari. Il successivo avvento di Modi ha fatto sì che il vento del nazionalismo soffiasse sempre più forte, con l’evidente intento di dimostrare al mondo che l’India non si fa intimidire da nessuno. Latorre e Girone scontano ancora la leggerezza con cui il governo italiano di allora gestì il caso.
Featured image, Narendra Modi, Primo Ministro indiano, source Wikipedia.