Risulta evidente l’aumento del ricorso alla banca centrale a partire dall’agosto dello scorso anno, cioè da quando la crisi dei debiti pubblici europei ha investito in pieno l’Italia. Si noti come questo aumento non è solo dovuto alle due (ormai famose) operazioni a tre anni attuate a dicembre del 2011 e alla fine di febbraio del 2012: si tratta di un processo cominciato prima. Certo quelle due operazioni hanno contribuito in misura determinante ad accrescere la durata dei finanziamenti della Banca d’Italia: i finanziamenti a tre anni (255 miliardi) rappresentano ormai quasi il totale dei finanziamenti a medio/lungo termine, mentre in passato la durata abituale di queste operazioni era compresa tra i tre e i sei mesi (le operazioni principali hanno una scadenza di una settimana).
Perché questo aumento? Vi sono diverse possibili spiegazioni, che forse non si escludono a vicenda.
La prima è la più preoccupante. La banche italiane hanno subito un forte calo della raccolta netta dall’estero: –30,6 per cento tra il gennaio dello scorso anno e quello di quest’anno (Abi Monthly Outlook). Si è quindi ridotta drasticamente la capacità di finanziare tramite la raccolta sui mercati internazionali il cosiddetto funding gap strutturale del nostro sistema bancario, cioè l’eccesso degli impieghi rispetto alla raccolta dalla clientela: questo gap si colloca stabilmente oltre i 200 miliardi. Se questa fosse l’unica spiegazione, ci sarebbe da essere molto preoccupati, perché dovremmo pensare che le banche italiane dipendono ormai strutturalmente dalla “stampella” fornita dalla banca centrale per fare quadrare i loro conti.
La seconda spiegazione è la seguente. Le banche italiane hanno fatto il pieno di liquidità per rimborsare, con i soldi presi a prestito dalla banca centrale, le obbligazioni che hanno collocato in passato presso la clientela e che scadranno nei prossimi mesi (alcune banche hanno addirittura riacquistato le obbligazioni prima della scadenza). In questo modo esse stanno in parte sostituendo la raccolta dalla clientela con quella presso la banca centrale, che è certamente meno costosa. Anche questa spiegazione, come la precedente, punta il dito sulla dipendenza crescente del nostro sistema bancario dal sostegno della banca centrale.
Vi è infine una terza spiegazione. Dobbiamo tenere conto che le banche hanno anche un portafoglio-titoli, che possono ridurre in una fase in cui hanno difficoltà di raccolta. Tuttavia le banche italiane hanno fatto l’opposto: tra il gennaio dello scorso anno e il febbraio di quest’anno, esse hanno aumentato i titoli in portafoglio di 166 miliardi, arrivando a detenere 740 miliardi di titoli (Abi Monthly Outlook). E’ naturale allora pensare che le banche italiane abbiano aumentato il ricorso alla banca centrale per acquistare titoli sul mercato, lucrando la differenza tra il tasso d’interesse sui titoli e l’1% pagato sui prestiti ricevuti dalla banca centrale (questo è il famoso carry trade). Se è così, possiamo stare più tranquilli sulla solidità delle nostre banche? Non necessariamente, perché esse continuano ad aumentare la loro esposizione verso lo stato italiano, che rappresenta un fattore di rischio ancora elevato, nonostante i recenti progressi sul fronte della finanza pubblica.
A quale di queste tre spiegazioni dobbiamo credere di più? Naturalmente potrebbero essere valide tutte e tre, tenendo anche conto che non tutte le banche si comportano allo stesso modo. Tuttavia una di esse potrebbe essere quantitativamente più rilevante delle altre. Perché le banche stesse non ci spiegano (ad esempio tramite la loro associazione, l’Abi) cosa stanno facendo dei soldi ricevuti dalla banca centrale? Un po’ più di trasparenza non guasterebbe, soprattutto in una fase in cui le imprese lamentano di subire una stretta creditizia, peraltro confermata dagli stessi dati dell’ABI Monthly Outlook: il tasso di variazione tendenziale degli impieghi a famiglie e società non finanziarie è calato all’1 per cento in febbraio, rispetto ai valori superiori al 5 per cento prevalenti fino all’ottobre scorso. (1) I dati riportano le consistenze medie nel periodo di mantenimento della riserva obbligatoria, e sono tratti dal Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d’Italia “Moneta e banche” (n.17 – aprile 2012, Tav. 1.8). source