Doveri, piaceri e perplessità

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Qualche tempo fa Pina ha scritto un articolo tra il divertente e il molto amaro a proposito delle domande che ci vengono rivolte da parenti, amici fino ai perfetti estranei a proposito della nostra vita privata e sentimentale quando ci avviciniamo ai 30 anni da single.

Siccome io i 30 anni li ho passati e faccio parte del gruppo di donne che si sono sposate e hanno avuto figli relativamente giovani alcune domande non me le sono sentite fare, ma in compenso le intromissioni e le parole a sproposito si sono sprecate su altri fronti.

Così ho pensato di raccontare anche la mia esperienza, che va a braccetto con quella di Pina.

Io e il mio futuro marito ci siamo conosciuti davvero giovanissimi; ci siamo molto piaciuti, ci siamo frequentati in lungo e in largo e, appena terminati gli studi e trovato un lavoro, ci siamo sposati.

Pensavamo che sposarsi fosse un affare privato e invece… ci si è aperto un mondo! Di seguito il podio delle stupidaggini che le nostre povere orecchie hanno sopportato all’annuncio delle nostre imminenti nozze.

La duchessa d’Alba e Alfonso Diez il giorno delle nozze: 85 anni lei e 60 lui

Terzo posto: “siete troppo giovani! Prendere un impegno di questo genere alla vostra età, non sapete quello che fate!” Con contorno di affermazioni sul genere “io a 25 anni pensavo a tutto meno che a sposarmi” e “vi manca l’esperienza”. Qui è stato facile: a 25 anni ci sentivamo sì giovani, ma certo adulti. E come tali, abbiamo preso le nostre decisioni.

Secondo posto: “ma perché vi sposate civilmente?” argomentata nel modo più abominevole: “alla fine o ti sposi in chiesa perché ci credi (in Dio, nda), oppure il matrimonio è solo un modo di pararsi in caso di separazione; visto che voi non siete credenti, sarebbe più onesto da parte vostra andare a convivere”. Questa è stata una critica che ci ha urtato profondamente. Primo, com’è che questa critica è stata mossa di fatto solo a me? Questo la dice lunga di come serpeggi lo stereotipo delle donne che tirano ai soldi faticosamente guadagnati dai poveri mariti. Ma soprattutto mi ha offeso l’idea che un valore è tale solo se religioso. E da quando in qua? Il matrimonio può essere un valore tanto per un credente quando per un ateo. E alla fine ci siamo sposati civilmente e crediamo profondamente nella famiglia e nel matrimonio. I nostri però, perché siamo già fin troppo impegnati con i nostri principi per occuparci di come gli altri si regolino con i loro!

E al primo posto, la più sublime delle idiozie: “sarai mica incinta???” Anche qui, altra gran seccatura: che fare? Negare? Spiegare che ti sposi solo perché lo vuoi? Arrabbiarsi? Alla fine abbiamo deciso per un secco “no comment” che ha generato parecchio gossip: la mia linea vita è stata oggetto di attenta osservazione da parte di parenti, amici e colleghi per i quattro mesi che hanno separato la decisione di sposarci dal matrimonio stesso. Poi tutti hanno tirato un sospiro di sollievo.

Per un po’ le cose sono andate avanti come prima: il fatto di esserci sposati non ha cambiato molto le nostre abitudini lavorative, anche se ha cambiato la percezione che i nostri datori di lavoro avevano di noi. Eh, già. A mio marito è spuntata un’aureola da santo con coro di commenti che variavano da “ma guarda che bravo ragazzo serio che alla sua età si prende un impegno per la vita” a “ma che bravo! la moglie lavora e lui prepara la cena!”; A me non so bene cosa sia spuntato, forse l’utero, ma è stato detto che l’azienda da me si aspettava che non facessi figli per i successivi 15 anni.

Ma poi, nel giro di poco, è iniziata una martellante campagna pro-life: tutti, a partire da nonni e zii fino ai colleghi di lavoro, hanno cominciato a chiederci se non fosse ora di avere un figlio.

E qui abbiamo cominciato ad avere il sospetto che molte persone intorno a noi avessero le idee confuse: perché passino i nonni – mio nonno continuava a dirmi che avrebbe tanto voluto avere il tempo diventare bisnonno e questo per me è un ricordo pieno di tenerezza – ma i colleghi??? Quelli che si irritano perché chi ha i figli difficilmente parteciperà una riunione alle sette di sera? Anche loro. Mistero.

Abbiamo avuto un periodo in cui tutti, ma proprio tutti, ci fermavano persino per strada per chiederci se ero incinta e si offendevano a sentirsi dire che non erano affari loro o che la cosa non era in programma: “programma!!! I figli non si programmano!”

Come no? E infatti no. O meglio, si può programmare abbastanza facilmente quando NON si vogliono, in modo molto meno scontato quando si vorrebbero. Ma questa sarebbe un’altra storia.

E infine è nato il nostro primo figlio. Cercato, voluto e molto amato. E anche qui c’è stato un coro di domande:

ma come fai con il lavoro?” ho ripreso a lavorare subito dopo la nascita del nostro bambino, da casa, con mio marito e coautore del pargolo che se ne occupava e ne godeva insieme a me. Ho fatto così.

ma come fai senza nessuno?” il padre proprio non conta, eh? Comunque, per la cronaca, non è che ci sia mancata compagnia.

Ma la migliore e più gettonata è stata: “allora, sei rientrata nel tuo peso?” Certo, dopo uno squarcio da parte a parte nelle mie sacre trippe, un pargolo urlatore attaccato ai miei seni giorno e notte, uno sconvolgimento totale della nostra vita, la mia prima e vera preoccupazione era rientrare nei miei vestiti “di prima”.

Appena il nostro bambino è stato un po’ più grande le uscite demenziali sono state più centrate sul fatto che andava all’asilo e che aveva ben due tate che si davano il cambio.

ha il raffreddore? Colpa dell’asilo. Ha i puntini in faccia? Colpa dell’asilo. gli spuntano i denti tardi? Colpa dell’asilo

ma non è che con tutte queste tate poi si confonderà e non saprà più chi è la mamma???

Ecco, quest’ultima merita un encomio, perché è veramente inclassificabile. E non cito l’autore di tanta profondità per pura carità. (chissà se la carità è un valore trasversale?)

Ma le chicche non sono finite: quando il nostro bambino aveva compiuto da poco un anno, sono rimasta incinta una seconda volta. Eravamo stupiti anche noi, proprio non ce lo aspettavamo dopo una diagnosi di infertilità e un figlio definito “miracoloso”. Ma eravamo molto contenti. La lieta novella non è stata però digerita con la stessa facilità da familiari di entrambi e datori di lavoro della sottoscritta.

I miei datori di lavoro hanno pensato bene di chiedermi di selezionare una sostituta per la mia posizione e di negarmi il bonus di fine anno. Scelgo di nuovo di non commentare un comportamento che si commenta da solo.

I familiari sono partiti tutti con una predica circa la nostra incoscienza, dal momento che mettendo al mondo un altro figlio non tenevamo conto della mia salute, delle finanze di casa e del povero primo figlio che sarebbe stato geloso e trascurato. Certo che una gravidanza non è una passeggiata e lo è ancor meno a breve distanza da una gravidanza precedente, ma all’alba dei 30 anni ci siamo sentivamo in grado di affrontare la nascita di un altro figlio. E così e stato.

La cosa che davvero non ci spieghiamo però è questa: le stesse persone (familiari, colleghi, capi) che all’annuncio della nascita di nostra figlia si sono prese la briga di chiedermi se durante il secondo cesareo mi sarei anche fatta chiudere le tube, oggi ci chiedono perché non facciamo il terzo.

Sono perplessa.

Ho sempre pensato che “la gente” proceda per cortocircuiti mentali e che un fondo di schizofrenia alberghi in ognuno di noi, ma qui si esagera.


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