Drag me to hell

Creato il 25 giugno 2013 da Nehovistecose

(Drag me to hell)

Regia di Sam Raimi

con Alison Lohman (Christine Brown), Justin Long (Clay Dalton), Lorna Raver (Sylvia Ganush), David Paymer (Mr. Jim Jacks), Dileep Rao (Rahm Jas), Adriana Barraza (Shaun San Dena), Reggie Lee (Stu Rubin), Chelcie Ross (Leonard Dalton), Molly Cheek (Trudy Dalton), Bojana Novakovic (Ilenka Ganush).

PAESE: USA 2009
GENERE: Horror
DURATA: 97’

Giovane e ambiziosa bancaria, Christine nega una proroga sulla casa alla vecchia signora Ganush, che la maledice. La ragazza scoprirà di essere perseguitata da un Lamia, perfido e diabolico mostro che vuole portarla all’inferno…

Dopo il successo dei tre Spiderman, Raimi torna alle origini con un horror classico impregnato di umorismo macabro che ricorda da vicino il fulminante esordio del 1981 con La casa. Questo Drag me to hell (letteralmente, Portami all’inferno) è un riuscito divertissement rozzo come non mai in cui tutto è bidimensionale come in un fumetto: Dio è in cielo e il diavolo sotto terra, i demoni hanno le corna e somigliano a dei caproni, le streghe sono brutte e senza denti. Raimi punta ad una miscela composta per il 50 % da terrore puro e per il 40% da una dose più che massiccia di ironia (per non dire pura comicità); il restante 10% è crudele satira sociale (che mette alla berlina il carrierismo, le aberrazioni bancarie made in Usa, gli abomini capitalisti), ma in fin dei conti è un ingrediente meno importante di quanto la critica abbia affermato. Ciò che conta davvero per Raimi è terrorizzare ridendo, o forse sarebbe più giusto dire ridere terrorizzando, come dimostrano gli improbabili effettacci splatter o le invenzioni comiche che partono sempre da un qualche cosa di schifoso, nauseante, vomitevole. Avete presente un bambino che gioca col fango? Raimi fa lo stesso, ma al posto del fango usa una mistura di liquidi e secrezioni di ogni tipo; a farne le spese, ancora una volta, è il corpo umano, che il cinema “maltratta” in qualunque modo. Tra Christine e Duffy Duck non c’è differenza: la mitologia cui attinge il regista nel torturare la malcapitata banchiera è la stessa che regola l’universo dei cartoni animati. È un film pauroso e molto, molto divertente, come non se ne facevano da anni, in cui Raimi non si prende MAI sul serio, e chiede allo spettatore di fare altrettanto.

È, nel suo piccolo, un esempio di puro cinema d’intrattenimento, apprezzabile per come evita la spocchia dell’horror moderno e torna ad un concetto di visione “limpida” e “artigianale” che non vuol’essere nulla di più rispetto a quello che è: un passatempo studiato esclusivamente per controllare se i nostri nervi funzionano ancora. Un passatempo in cui, tuttavia, Raimi convoglia un’intelligenza registica rara nel cinema dell’orrore, una sorta di divertita autoconsapevolezza che lo porta spesso a infrangere la quarta parete, come dimostra la trovata geniale della mosca che si posa sulla lente della macchina da presa e la fa andare fuori fuoco: è solo cinema, tranquilli. Nient’altro. Scritto dal regista col fratello Ivan, è un film in cui anche le scenografie e gli effetti speciali (di Greg Nicotero e Howard Berger) sono divertenti. Parecchie le scene da antologia dello splatter, ma la più spassosa è probabilmente quella della capra, in cui di sangue non ce n’è. Unico film di Raimi in cui non compare l’amico Bruce Campbell. Menzione speciale all’anziana Raver, stimata attrice teatrale e televisiva.



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