Dopo cinque minuti me ne faccio una ragione e porgo alla sfortuna anche l’altra guancia, gesto che sembra apprezzare dato la facilità con cui si ripropone.
L’ultima mia avventura, io parlerei di disavventura, è stata la perdita definitiva, completa, perenne del mio telefono cellulare. “Oh mio Dio Lollo, come hai fatto” “Davvero, e come stai?”. E’ stata dura, una perdita difficile da digerire, una sepoltura degna di un vero imperatore del sacro romano impero. L’ho perso, puff, sparito, svanito nel nulla della pista ciclabile vicino a casa.
Ero in bicicletta, sfrecciavo contento delle mie quasi cento vasche in piscina, mi sentivo tonico e aitante come una comparsa del film Trecento, pedalavo allegro, inconsapevole della tragedia inverosimile che sarebbe accaduta da lì a poco. L’ultima volta che ho guardato il telefono erano le 22.42 di un classico martedì sera di primavera. Chili di pioppi mi si spiattellavano in faccia, migliaia di moscerini nidificavano nella mia laringe ma io canticchiavo beatamente con la musica a tutto volume nell’orecchio.
Parma ha delle meravigliose piste ciclabili, anche discretamente illuminate. Una volta rientrato nel palazzo, chiamo l’ascensore, e scopro il fattaccio. Il corpo del reato era sparito. Avevo perso il mio Nokia XXXX (Qualcuno conosce il nome del proprio modello?) per la prima volta nella mia lunga vita da cellulare dipendente. Le ho pensate tutte, speravo di farlo vibrare e sentirlo vicino a me, in una tasca remota di una borsa Freddy acquistata in un mercatino da vero pezzente. Niente, lui non c’era.
Ho sfiorato la tragedia cercando invano di rifare per ben quattro volte la stessa pista ciclabile. In effetti, con la fortuna che posso millantare, secondo voi non riuscivo a ritrovare un cellulare nel cuore della notte tra cespugli, erba e addirittura un torrente? Mi sono creduto Indiana Jones per qualche minuto, ci ho sperato fino a stamattina quando sulla via delle ricerche da F.B.I. ho incontrato una signora e un delizioso cagnolino. Non era un cane da tartufo ma ho seriamente pensato di farmi aiutare, poi ho preferito non compromettere la mia dignità.
Tornato a casa sconfitto e amareggiato (ciliegina sulla torta: un temporale) mi sono messo il cuore in pace e mi sono detto “Lollo, è la volta buona che ti compri il cellulare” ammiccando con l’occhio sguercio. Ecco, appunto, io che mi compro un cellulare. No, io i cellulari li ho sempre ricevuti di seconda mano. A cominciare dal primo, un Nokia 3210 di un amico di mio fratello che ha voluto cinque euro. La batteria cinese funzionava per mezzora e prendeva solamente a testa in giù. Lo amavo. Poi quello vecchio di mio padre, quello vecchio della mia amica e ancora un 3310 (notare la fedeltà Nokia che mi caratterizza). Il primo telefono funzionante e nuovo mi è stato regalato ai diciotto anni, sembrava troppo tecnologico per i miei gusti ma è stato amore fin da subito, sostituito solo due anni fa quando si è accasciato su se stesso. Una vera e propria eutanasia.
Lì ho giurato che non avrei mai comprato un telefono che potesse superare le sue capacità, e così è stato, anziché evolvere sono retrocesso ad un modello da novantenni miopi. Il mio splendido telefono disgraziatamente perduto era aitante, affatto veloce ma furbo. Capace di destreggiarsi tra chiamate e trilli, addirittura si preoccupava di filtrare i numeri poco graditi nascondendomi i messaggi della mia ex dolce metà. Era un segno, voleva proteggermi.
L’ho visto crescere, lievitare e consumarsi, i tasti non si leggevano quasi più, ogni tanto impazziva ma poi ristabiliva il suo ordine organico. Ricordo come fosse ieri quel giorno che ha imparato a tuffarsi cadendo in piscina. Non è annegato, l’ho salvato e dopo due giorni di coma sul calorifero è risorto come fosse nuovo. Oddio, non proprio nuovo, diciamo funzionante.
E così quel mattone pesante 3 chili non vibra più nella mia tasca. Cadeva, si sfracellava in venti pezzi ma poi non mi abbandonava. Ora invece ho un nuovo modello, uno sfondo tutto glitterato, pare faccia anche le fotografie, per non parlare di quando ricevo una telefonata“Oh mamma, chi ha questa musica così tamarra come suoneria?” salvo scoprire che è tua.
Tunz Tunz Tunz. Se sentite un telefono con un suono ignobile in perfetto stile “Sono stato al ristorante di Dolce e Gabbana a Milano e indossavo un completo bianco gessato con stivali a punta di coccodrillo”, sappiate che è mio. E sappiate anche che mi dissocio.
Lorenzo Bises