Artista: Dream Theater Anno: 1992 Tipo album: studio Tracce: 8 Pagina di MusicBrainz
Il sogno di ogni amante ed appassionato di musica è quello di raggiungere l'apoteosi durante l'ascolto di un album. Con il sublime Images and Words dei Dream Theater possiamo raggiungere, in modo rocambolesco la pace dei sensi ed illuminarci d'immenso. E' sicuramente tra i migliori album, non solo progressive metal, di sempre. Anche l'ignaro ascoltatore di un genere differente, non può non restare estasiato. Non subito forse. Dopo alcuni ascolti, anche ripetuti in breve tempo. Quello che mi sembrò un buon album la prima volta che premevo play del lettore cd, esigeva da me altre attenzioni, quasi feticiste. Come già detto più volte, il progressive lo apprezzo, ma non lo adoro. Lo ritengo un'ottima galleria dei vanti per estrosi con con i contro coglioni che sanno suonare. Se fossimo stati ai tempi degli antichi greci, avremo anche potuto credere che alcuni di questi musicisti fossero il risultato di scappatelle portate avanti dagli Déi. Il dubbio può restare anche oggi, ma qui si va oltre la mera sperimentazione. Con Images and Words abbiamo forse il primo album completamente progressive metal, in ogni sua parte: ritmo, strumenti, voce e testi.
Il tutto ebbe inizio con Pull me under che è forse il pezzo più debole dell'intero album, ma introduttivo nella sua semplicità strutturale per il mondo prog metal. Cori, assoli, cambi di marcia ed un ritornello che va a cucire pezzi strumentali suonati con dedizione. Che si tratti della chitarre di Petrucci o delle tastiere di Moore fa poca differenza, qui il grande attore è LaBrie. L'interruzione improvvisa è un altro tocco geniale, lasciando in sospeso molte cose, e sottolineando l'arrivo improvviso della morte, tema principale della traccia. Giusto due secondi di silenzio per farci rielaborare quanto accaduto ed arriva la più breve Another day decisamente più melodica e lenta. Anche qui la voce è un fattore determinante, accompagnato in maniera sublime da strumenti mai sfarzosi. Forse troppo poco cattiva, in certi attimi sembra poter decollare, ma è come trattenuta. Vuole essere introspettiva e triste, dando malinconia qua e là grazie anche all'assolo finale di sassofono. Tema forte e triste anche qui, come la lotta contro il cancro da parte di un malato (nello specifico il padre del chitarrista Petrucci). Così eccoci con Take the time, la canzone che al primo ascolto mi ha incuriosito maggiormente. Al di là dell'aspetto strumentale di una certa importanza, con possenti attacchi di basso e batteria, con tecnicismi che solo alcuni possono essere in grado di compiere, è una frase nel testo quella che coglie la mia attenzione: "ora che ho perso la vista ci vedo di più" detta in italiano (presa dal capolavoro Nuovo Cinema Paradiso). Da qui un ascolto forzato e ripetuto più volte. Tante volte quante gli stili differenti che compongono la traccia ed i cambi ritmici improvvisi, scattanti. Anche dal punto di vista della lirica (è stata scritta da tutti i componenti) è difficile trovare un passaggio uguale all'altro, se non consideriamo il ritornello. Continua il crescendo di sensazioni con Surrounded che da me è sempre stata vista come una sorta di preliminare per l'estasi che verrà subito dopo. Qui i toni sono sempre più accesi ed incalzanti. Una caratteristica importante è che riescono a rendere una canzone aggressiva, come un qualcosa di riflessivo e malinconico. Dicevo che questo è l'antipasto per Metropolis Part I : the Miracle and the Sleeper. La mia preferita di tutto il campionario DT. Non sono neanche in grado di pescare gli aggettivi adatti o meglio le immagini e le parole, per poterne parlare. Possiamo dire che è quasi un album dentro l'album (poi ha dato il via al concept relativo alla parte II) con sessione introduttiva, svolgimento della trama, suspance e finale. Basandoci sul titolo dell'album sappiamo che loro voglio darci immagini attraverso la musica, e con Metropolis ci riescono alla grande. Se spesso punto il dito su coloro che esagerano l'opera di autoesaltazione strumentale, qui possiamo avere un assaggio nella parte centrale, dove ogni musicista dà il meglio di sè, ma non risulta stucchevole. Pendo dalle loro corde. Ogni volta. Poi non possiamo tralasciare i sentimenti che mi legano anche solo al titolo: Metropolis che mi ha sempre ricordato l'opera di Lang anche se per ovvie ragioni non c'entra niente. Under a glass moon è un continuum per le doti di Petrucci che suono con maestria uno dei migliori assoli di chitarra di sempe, riuscendo ad inserire il pezzo in una melodia armoniosa ed altrettanto accattivante. Con Wait for sleep abbiamo una traccia sui generis per quanto è breve. In due minuti e mezzo però è di quelle che lascia il segno, quasi fosse un jingle il cui unico pezzo forte sono le tastiere di Moore che è anche il solo ad aver composto la musica. Images and Words, il titolo del brano è ripreso da una frase della canzone ed anche la fantastica copertina è ispirata a questa. Dalla più corta alla più lunga Learning to live che racchiude oltre undici minuti di tecnicismi ma i esasperati o esasperanti. Piacevoli nella loro forza, ti cullano con una verve inaspettata ed una ripresa di Wait for sleep.