L’uccisione di Giovanni Lo Porto in Pakistan durante un’operazione della CIA ha acceso nuovamente i riflettori sull’utilizzo dei droni militari. Bilancio di dieci anni di guerra tutt’altro che chirurgica.
I droni armati sviluppati dagli Stati Uniti negli ultimi anni hanno innescato la corsa agli armamenti nel nuovo settore degli aerei senza pilota. L’illusione di una guerra mirata e l’ambizione di eliminare il fattore umano tra la formulazione dell’ordine di attacco e l’azione di premere il grilletto sono state infrante dai numeri di oltre un decennio di sperimentazione. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni si riapre il dibattito sull’uso di questo strumento e sui protocolli di azione della CIA.
Droni militari, una storia che arriva da lontano
La storia dei Apr, Aeromobili a Pilotaggio Remoto, velivoli militari senza pilota affonda le sue radici negli anni della guerra fredda. Le prime applicazioni belliche di moderni droni risalirebbero addirittura al periodo della Guerra il Vietnam (1965-1973), quando apparecchi senza equipaggio furono sperimentati dall’aviazione per scopi di intelligence e ricognizione. Essi compirono più di 3.500 voli riportando solo il 4% delle perdite. Il Pentagono realizzò anche due modelli armati, mai dispiegati sul campo perché non sufficientemente precisi. Ha inizio il processo, tutt’oggi in corso, che gradualmente promette di rimpiazzare nel tempo i leggendari e pluridecorati piloti della Seconda Guerra Mondiale con macchine guidate da terra.
Bombardamento in Vietnam. Photo credit: Lt. Col. Cecil J. Poss, 20th TRS on RF-101C, USAF. / Source / Public domain
Sul fronte sovietico, tra il 1972 e il 1989, vengono realizzati quasi mille esemplari di droni che con vari compiti sorvolano regolarmente l’Europa fino alla caduta del muro di Berlino. Ma il monopolio su queste tecnologie già si era incrinato negli anni ’70-’80. Da sempre all’avanguardia nell’innovazione tecnologica in campo militare, Israele raggiunge presto il primato nel settore: nel 1982 gli apparecchi israeliani senza pilota svolgono un ruolo cruciale nel distruggere la quasi totalità del sistema contraereo siriano nella valle della Beqa’, riducendo notevolmente le perdite. Si fa strada, inoltre, una nuova filosofia nell’uso di questi dispositivi: viene estesa a questa classe di armi la strategia di targeted killing, consistente nell’individuazione ed eliminazione di singoli bersagli particolarmente pericolosi. La morte, almeno nelle intenzioni, piomba dal cielo silenziosa e letale uccidendo il bersaglio designato senza eccessivi danni collaterali, decapitando i vertici di organizzazioni ostili per disturbarne l’azione.
La corsa ai droni tra le potenze mondiali
In breve tempo, specie dopo i fatti dell’11 settembre 2001, si è scatenata la corsa a questo particolare tipo di armamento, che coinvolge le principali potenze mondiali: tra il 2003 e il 2012 vengono spesi complessivamente 3,5 miliardi di dollari in questo campo, ma Forecast International prevede che nel giro di un decennio le spese lieviteranno fino a raggingere i 70 miliardi di dollari.
Protagonista indiscusso del mercato è il celebre Predator, il cui modello armato, il B/MQ-9 ‘Reaper’ (‘Mietitore’), ha tagliato il traguardo del milione di ore di volo. Forte di un’apertura alare di oltre 20 metri e capace di volare in autonomia per oltre 30 ore consecutive, è stato impiegato dall’aviazione USA in diversi scenari dopo i fatti del 2001. Ad oggi ne sono stati realizzati quasi 300 esemplari, quasi tutti in forze tra la RAF britannica e l’Air Force statunitense, ognuno del valore di ben 17 milioni di dollari. Recentemente alcuni paesi hanno manifestato l’intenzione di dotarsi di versioni armate del Predator, tra cui Olanda e Australia. Neanche un mese fa Katrin Suder, Segretario di Stato del ministero della Difesa tedesco, ha annunciato in una audizione al parlamento federale che Germania, Francia e Italia hanno intenzione di sviluppare in proprio entro il 2025 un velivolo senza pilota di medie dimensioni adatto ad equipaggiare armi. Le esatte dimensioni dell’arsenale cinese in fatto di droni (sviluppati con un progetto indipendente) non sono note, ma si stima che si assesti al secondo posto dietro quello degli Stati Uniti.
Targeted killing e anti-terrorismo: i droni sbarcano in Pakistan
Negli ambienti militari a stelle e strisce il paradigma del targeted killing attraverso droni e le operazioni anti-terrorismo (e non solo) vengono accostate con insistenza sin dai mesi successivi all’accatto alle Twin Towers. Sotto l’amministrazione Bush jr. vengono inaugurate operazioni di questo tipo negli scenari di guerra mediorientali e in particolare, dal 2004, nella zona di confine tra Afghanistan e Pakistan. Le inaccessibili aree montagnose di confine tra i due paesi si sono prestate per anni a perfetto nascondiglio per i talebani e gli affiliati ad Al-Qaeda, che spesso hanno trovato rifugio nelle zone tribali nell’area a nord del Pakistan. Dal 2004, tuttavia, un tacito accordo di collaborazione tra i governi di Islamabad e quelli di Washington ha permesso, fuori da ogni autorizzazione ONU, ai droni statunitensi comandati via satellite di sconfinare per compiere operazioni di bombardamento mirato a colpire i vertici di organizzazioni terroristiche e nascondigli di jihadisti nella regione del Waziristan pakistano, la stessa regione in cui avrebbero trovato la morte, proprio a causa di un drone, il cooperante italiano Giovanni Lo Porto e il contractor americano Warren Weinstein.
Questi attacchi, condotti dalla CIA nel decennio appena trascorso, sono andati intensificandosi sotto l’amministrazione Obama, passando dai 10 strikes del periodo 2004-2007 agli oltre 350 tra il 2008 e oggi, con un picco di oltre 120 verificatosi nel 2010. E il bilancio delle vittime non restituisce certo il quadro di una guerra chirurgica mirata ad evitare le vittime civili. Una recente analisi dell’associazione in difesa dei diritti umani Reprieve, riportata nel novembre 2014 dal The Guardian, denuncia che sarebbero morti sotto il fuoco dei droni americani almeno 1.147 civili in attacchi destinati ad eliminare 41 terroristi. In media, stando a queste stime, l’abbattimento di ogni bersaglio costa la vita a circa 28 civili, tra cui anche molti bambini.
Il dibattito sull’uso dei droni
Queste cifre e i recenti avvenimenti hanno riacceso il dibattito sui protocolli che regolano l’uso dei moderni droni militari. Le assunzioni di responsabilità di Obama non sono sufficienti a giustificare l’impiego sommario che sembra essere stato fatto finora soprattutto in Pakistan, dove l’attacco di obiettivi non strettamente prioritari ha fatto sospettare che la loro eliminazione possa avvantaggiare Islamabad nell’eliminazione di oppositori interni senza regolare processo.
Inoltre la formula adottata finora nel processo decisionale che porta al semaforo verde per l’attacco è stata quella della near-certainty, ovvero della”quasi certezza”, dell’assenza di civili nell’area, una definizione di per sé piuttosto vaga e per giunta non applicata, dal momento che dalle dichiarazioni emerge che spesso neanche gli ufficiali di intelligence sanno esattamente chi si trova nella zona che decidono di colpire con i droni. Nel caso dell’uccisione di alcuni obiettivi la loro morte sarebbe stata addirittura accidentale.
La gestione poco chiara di questi strumenti ha sollevato dubbi e domande cui Obama è chiamato a dare risposte, ripensando le regole di ingaggio. Senza dubbio i droni rimangono l’avanguardia di un processo di modernizzazione che cambierà gradualmente il volto della guerra così come la conosciamo oggi, in un percorso che mira a cancellare il fattore umano tra le variabili dei conflitti armati. Il timore che lo sviluppo in campo bellico delle intelligenze artificali possa sfuggire dalle mani dell’uomo, nel più classico degli scenari di Terminator, ha spinto alcuni membri della Law School and Human Rights Watch di Harvard a firmare un rapporto in vista del summit delle Nazioni Unite sulla regolamentazione delle armi non convenzionali interamente autonome. In esso si chiede di impedire alle potenze mondiali di sviluppare in futuro sistemi d’arma automatici in grado di compiere attacchi indipendentemente dal controllo umano.
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