Due anni senza Dalla

Creato il 04 marzo 2014 da Marina Viola @marinaviola


Sono passati già due anni da quando è morto Lucio Dalla, e io sono ancora qui con il magone. Due anni in fondo sono anche pochi per il mio modo di metabolizzare la morte: se penso che dopo trentuno sono ancora qui che non mi capacito che un ictus abbia ucciso mio padre. Alla Rai, poi.

In questi due anni mi sono successe tante cose, tra cui il fatto che sia andata a Bologna almeno un paio di volte, che abbia conosciuto delle belle persone che parlano con la stessa zeta strana di Dalla e che ti ascoltano con quel sorriso lì un po’ da prenderti in giro, ma che da un momento all’altro diventa serio. Ho sentito l’odore sotto i portici che sentiva lui, sono quasi scivolata, come sicuramente è capitato a lui due milioni di volte, su quei pavimenti di marmo, eleganti e micidiali. Ho respirato come lui quell’aria emiliana, inconfondibile, in bilico fra campagna e città.Mia sorella Serena abita a Bologna da tanti anni, e quando sono andata a trovarla e sono uscita da sola, mi è venuta immediatamente in mente la frase di Dalla: “A Bologna non si perde neanche un bambino”. Beh, ragazzi, con il cuore in mano, sperando di non fare arrabbiare nessuno, ve la devo dire: non è vero. Io mi sono persa, malgrado le cartine disegnate con un Tratto Pen da Serena, con la sua mano sinistra, su un foglio a quadretti. So che non bisognerebbe dissentire con il Maestro, ma a me, cocciuta milanese, sembra che le strade siano tutte molto simili. Vabbé, non stiamo qui a far polemiche.Ho notato, mentre cercavo di ritrovare la strada dove abita Serena, che Bologna ha la faccia di Lucio Dalla, un po’ tonda, sorridente ma anche seria e concentrata, incorniciata dagli occhiali e con un retrogusto di trasgressivo che la rende giovane malgrado gli anni. Ho notato che i bolognesi  parlano di Lucio (così lo chiamano) come se ne fosse stato il re, con una fierezza umile e sincera. Tanti raccontano della volta che lo hanno visto camminare per la piazza, o andare al ristorante, o scendere dalla macchina e aprire il portone a notte fonda, e te lo vogliono raccontare per farti capire che era uno di loro, malgrado fosse IL Lucio Dalla amato da tutti. Di lui ho notato che ci sono anche i colori, rossi vivi contro un cielo blu estate, i disegni sui pavimenti delle piazze. C’è poco grigio, a Bologna. Ci sono, se si ci si fa caso, anche gli odori, di pasta fatta in casa, di ragù su dalle otto del mattino. Quelle famigliarità che ti fanno sentire a tuo agio, come famigliare era la sua musica, che ha accompagnato la vita di tanti.In questi due anni è anche successo che ho scoperto canzoni di Dalla che mi hanno illuso che fosse ancora vivo, perché per me erano nuove, come se le avesse fatte qualche mese fa: Quale Allegria, Due Ragazzi, Solo. Era come se Dalla mi dicesse, “Ascolta questa! È nuova!”. E io ci sono cascata in pieno nel suo trabocchetto di sempre, sognando di stare con lui in una cantina bolognese davanti a un bicchiere di rosso dei colli e invece trovarmi nella mia macchina sulla Route 20 nel Massachusetts, a piangere da sola. Ne ho anche riscoperte di vecchie che non ascoltavo da anni, tipo La Casa in Riva al Mare, o Sylvie, o Un Uomo Come Me, o 1983 e ascoltandole ci ho ritrovato le stesse immagini che avevo negli occhi l’ultima volta che le avevo scoperte da piccola, come se avessi schiacciato pausa per tutti questi anni e poi, d’un tratto, play. Click.Bologna in questi due anni ne ha persi tanti altri, di maestri: Claudio Abbado, Freak Antoni, per esempio, persone anche loro legate alla musica che hanno fatto la storia d’Italia, chi in prima fila e chi sovversivamente. Ma la morte di Lucio Dalla a me sembra diversa, perché ha colpito proprio tutti, e non solo gli appassionati di musica classica o di musica demenziale e poesia genialoide.Insomma, mi sono spiegata: due anni e sono ancora qui con il magone, appunto.



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