due gioielli nel bianco

Creato il 30 novembre 2011 da Occhio Sulle Espressioni
Les yeux sans visage
(Occhi senza volto)
1960
Francia, Italia
Regia: Georges Franju
Soggetto: Jean Redon
Sceneggiatura: Pierre Boileau, Thomas Narcejac, Jean Redon, Claude Sautet, Pierre Gascar

La rinomata importanza di un pezzo di carne, una cartilagine, un frammento di epidermide. Non alludiamo a funzioni atte al funzionamento del corpo, ma alla considerazione che ha la società della "scatola". In tal senso, il tempo ha imparato ad accettare anche optional non naturali, l'importante è la funzionalità sull'occhio altrui.
Il dottor Génessier è un bravo medico, peccato che pecchi di... onnipotenza. Per la scienza è disposto anche a decidere chi debba vivere e chi no, su quali esseri viventi fare pratica, chi debba beneficiare dei suoi successi e chi ne debba fare le spese. Addirittura può permettersi di fare il comodo proprio nei cimiteri, anche mentre in cielo passa un aereo, simbolo di progresso tecnologico, a terra avvengono le sue sperimentazioni semi divine, in stile costole estratte per altre creazioni. A farlo rimanere umano c'è però la paura del fallimento, sempre vigile, anche dentro chi gli sta intorno. Una presenza è Louise, una sua "creatura", visto che ha beneficiato di un intervento ricostruttivo che le ha dato nuova linfa vitale, e non ultima, ma protagonista, sua figlia Christiane, "occhi senza volto", perché il suo viso si è disfatto in un incidente stradale, tra l'altro, a detta di lei, provocato dalla superbia del padre presente anche in strada. Con un freddo stratagemma la si fa passare per morta, di modo che lo "strumento" sia disponibile in maniera indisturbata, si deve infatti tentare la ricostruzione del viso, non si sa quanto per amore o quanto per mania di potere. Ma se per sperimentare tecniche bastano dei poveri cani raccolti in strada, per il fulcro dell'operazione serve pelle fresca, connotata similmente a quella di Christiane, e Parigi ne è piena, orsù! A reperire ci penserà Louise, ci si fida di più di una donna dai modi gentili. Le mosse di lei sono rese caricaturali dalla presenza di una buffa Citroën 2CV e dalla farsesca musichetta di Maurice Jarre; contrappunto che davvero sa creare un'ottima via di linguaggio.
Ad un certo punto pare che l'operazione sia andata a buon fine, la ragazza può togliere la maschera che copriva le sue piaghe e mostrare un viso talmente angelico da sembrare di carta velina, che il padre continua a gestire permettendosi di dire anche quando un sorriso si è spinto troppo in là. Christiane aveva un ragazzo, e forse, anche sotto mentite spoglie (lei era ufficialmente morta), potrebbe rivederlo... Lui, fra le altre cose, ha un ruolo di rilievo, insieme alla polizia locale. Purtroppo le speranze decadono dopo poco, il tessuto è rigettato, iniziano a presentarsi ematomi e necrosi, tutto torna come prima. Ma questa è la goccia: occhi senza volto ormai è allo stremo psicofisico, non rimane che punire i colpevoli e ricongiungersi, insieme alle altre cavie, con la natura non modificata dalle mani umane.
Classico senza tempo, tenendo fede al fatto che è una produzione franco-italiana, pesca un po' dal gotico e meno gotico nostrano di allora, tipo quello marchiato Freda e Bava, vedi I vampiri, e un po' dal giallo o thriller metropolitano, anche francese, vedi il bellissimo I diabolici di Clouzot.
Prove attoriali di prim'ordine, con un'eterea Edith Scob nella parte di Christiane, espressiva con la maschera tanto quanto senza, e Alida Valli nei panni di Louise. Pierre Brasseur è il gelido dottor Génessier, una maschera di ghiaccio.
Regia e fotografia magistrali, si percepisce il passato dedito al documentario di Franju, è stato molto abile nel descrivere la freddezza degli eventi, così com'è funzionale la trama, ispirata ad una novella di Jean Redon, durante gli omicidi, asettici come una sala operatoria. A proposito: la sequenza dell'intervento su di una vittima ha perso un po' di effetto oggi, ma allora era fortemente scioccante.
Fotografia realisticamente ben illuminata, carrellate cadenzate, movenze delicate. Ma anche puntate ironiche a smorzare il ritmo teso.
Probabilmente uno dei migliori cento film horror della storia.

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